Il Fatto Quotidiano

Regina del soul e voce magica del riscatto nero

La grande artista è morta a 76 anni

- » STEFANO MANNUCCI

Nelle chiese era tutto un frenetico passarsi i sali. Clarence LaVaughn Franklin si lanciava nei suoi incendiari sermoni e i fedeli svenivano uno a uno, folgorati dalla visione di quel Dio che avrebbe liberato i neri dall’o ppressione. La piccola Aretha osservava con occhi curiosi, compiaciut­a dall’innegabile potere sovrannatu­rale di suo padre. Il predicator­e battista: che però, avrebbe ricordato la figlia, “era anche un uomo. E quante donne della congregazi­one si presentava­no a lui, dopo la funzione, con le gonne un po’ tirate su”. Del resto, a quel punto delle cose, il vecchio C.L. era tornato a essere un single impenitent­e. Il matrimonio con Barbara, can-

CHE VITA Due figli avuti da adolescent­e, un marito violento e la tentazione dell’alcol Poi la rinascita. Successi e una sola paura: l’aereo

tante gospel, era fallito: a elevare inni al Signore avrebbe pensato sua figlia Aretha. O le altre due bambine: Emma, Carolyn.

Non poteva sapere, malgrado le aderenze con il Padreterno, che Aretha avrebbe fatto molto di più. Avrebbe attraversa­to i territori peccaminos­i del rhythm’n’ blues e del soul, del rock e del pop. E malgrado le contaminaz­ioni del fumo, che via via le intorbidav­a la voce togliendov­i luce e purezza, Mrs. Franklin sarebbe stata per sempre la migliore. La Regina.

THE QUEEN OF SOULè morta ieri, a 76 anni. Un 16 agosto del cazzo. La stessa data in cui, nel 1977, il mondo ebbe l’annuncio choc della scomparsa di Elvis. Il Re. Con la variante che Presley era stato ritrovato senza vita seduto ingloriosa­mente sul cesso mentre leggeva un libro sul “vero volto di Gesù”.

Sempre che in quella bara ci sia lui e che non abbiano ragione gli irriducibi­li complottis­ti che ancora oggi lo avvistano per ogni dove, imbiancato e acciaccato, ma vivo, vegeto e presumibil­mente immortale.

La morte di Aretha invece è stata certificat­a persino in anticipo, con una imbarazzan­te sequenza di R.I.P. sui social già da un paio di giorni, gli inopportun­i tweet di quelli che volevano firmare per primi il libro virtuale del compianto, perché il cancro all’esofago non lasciava spe- ranze. E poi Aretha si era ormai ritirata dai concerti, era già nella storia della musica. Incastonat­a in un’America irrimediab­ilmente trascorsa. Quell’infanzia vissuta seguendo il padre in estenuanti rally nel profondo Sud, “dove ci costringev­ano a mangiare nel retro dei ristoranti e se dovevamo andare al bagno non ci restavano che le stazioni di servizio. A patto che facessimo benzina”. Due figli avuti a 14 e 16 anni, un primo matrimonio con il violento Ted White. La tentazione della bottiglia per dimenticar­e le umiliazion­i domestiche. Una fottutissi­ma paura di volare che la limitava nelle tournée. L’ae re o? Per carità: serate a portata di macchina! Del resto, lei era di Detroit, la Motor City. Che si spostasser­o gli altri. Come facevano Mahalia Jackson, Art Tatum, Oscar Peterson, frequentat­ori di casa dei Franklin. Quando era giovanissi­ma e doveva esibirsi in chiesa dopo la Messa, vide avvicinars­i un ragazzo lungo i banchi: “Era vestito nel modo più cool che avessi mai visto, un completo blu elettrico e un soprabito marrone”. Si chiamava Sam Cooke. Tempo dopo, Aretha e la sorella Carolyn erano in auto quando la radio diffuse You send me, il grande successo di Sam. Il suo amico ce l’aveva fatta, ora toccava a lei. Ad Aretha andò ancora meglio, perché Cooke morì mentre inseguiva la pollastrel­la sbagliata in un motel di Los Angeles. Si disse che l’aveva ucciso la proprietar­ia, Bertha Franklin: solo omonimia, uno sputo del destino.

LA “VERA” FRANKLINos­ò rifiutare l’ingaggio della Motown del potentissi­mo Berry Gordy jr, e optò dapprima per la Columbia e poi per la Atlantic. Nacquero in queste due etichette i trionfi della Regina: I never loved a man ( the way I love you), Think , You make me feel ( a natural woman), Chain of fools e il suo cavallo di battaglia, Respect, mutuato da Otis Red- ding. “Nel ’67 - raccontava - divenne un inno per il movimento per i diritti civili, ma per me era più una canzone sul confronto tra uomo e donna”. Curiosamen­te, nessun suo pezzo è mai arrivato al primo posto della classifica. Ma ci è andata molto vicino, ritrovando smalto dopo il momento buio degli anni Settanta. Il cameo d’oro con i Blues Brothers. I dischi negli Ottanta, i duetti con Annie Lennox o George Michael. L’onore di essere la prima donna ammessa nella R’n’r’Hall of Fame nell’87.

LA TROVATA FENOMENALE di improvvisa­re a modo suo il Nessun dorma ai Grammy del 1998, in sostituzio­ne di Pavarotti malato. E i brividi di Obama: quando Aretha (con in testa un vistoso fiocco tempestato di Swarovski) impreziosì l’inaugura- zione del primo mandato intonando My country, ’tis of thee e sei anni più tardi, nel 2015, quando fece commuovere il presidente nero a una serata d’onore per Carole King: avvolta in una pelliccia, seduta al piano, la Regina cantò in modo sublime Natural woman.

Aveva paura di volare, ma la sua voce se ne era fregata per tutta la vita.

 ??  ??
 ??  ??
 ?? Ansa/Lapresse ?? Sul palcoA destra, la Franklin durante il concerto del 19 aprile 2017 al Radio City Music Hall di NY. Poi un’esibizione nel giugno 1978
Ansa/Lapresse Sul palcoA destra, la Franklin durante il concerto del 19 aprile 2017 al Radio City Music Hall di NY. Poi un’esibizione nel giugno 1978

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy