Le finestre aperte della casa di via D’Amelio
Nel nome di Paolo In giro per l’Italia tra scuole e parrocchie. Anche sulla mia scassatissima auto
“Quando
vieni a Palermo ti aspetto a casa. Io abito ancora in via d’Amelio al civico 19”. Quell’invito di Rita Borsellino non me lo feci sfuggire. Qualche mese dopo ero nel capoluogo siciliano dove mi fermai sei mesi per un’esperienza di volontariato tra i ragazzi di strada. Proprio con uno di loro, Claudio, mi recai per la prima volta, a 18 anni, in quella strada che il 19 luglio del 1992 conobbi attraverso la tv. Suonai a quel citofono “Borsellino Fiore” con la mano tremolante dall’emozione. Al quarto piano sulla portai trovai un sorriso materno. Con Claudio, mi trovai seduto su quella poltrona con alle nostre spalle una foto in bianco e nero di Paolo Borsellino che abbraccia Antonino Caponnetto. Quella donna che fino al 1992 era stata una madre, una far- macista, aveva scelto dopo quel 19 luglio di diventare la mamma di molti altri ragazzi ai quali raccontare di suo fratello. Non ci siamo più persi di vista dopo quel giorno. Ha accettato di venire al mio paese, di diventare concittadina onoraria di uno sconosciuto borgo della pianura padana (Offanengo). Ha accolto più volte l’invito a veni- re nella mia ex scuola, l’istituto magistrale “Albergoni” di Crema dove il 20 ottobre del 1999 dedicammo la piazza al fratello e a Falcone. A Rita ho raccontato cose che non ho mai detto a mia madre. Sapeva essermi vicina in ogni momento. È stata la mamma di molti ragazzi che come me sono cresciuti con la fotografia dei due giudici ammazzati tenuta sulla scrivania. E se oggi l’Italia non si è dimenticata di Paolo è solo grazie a lei. Per decenni è andata ovunque: in ogni scuola, in ogni oratorio, in ogni parrocchia. Indimenticabile quella volta che a bordo di una mia scassata Citroen Saxo blu arrivammo ad un’iniziativa e la polizia ci fermo perché non la riconobbe a bordo di quell’assurda auto. Il nostro appuntamento più bello ogni anno era il 19 luglio. In via D’Amelio la sua casa è stata aperta a tutti ogni anno. Quel giorno in cui si ricordava la morte, Rita lo volle trasformare in un giorno di festa. È stato così anche il 19 luglio scorso. Dopo 26 anni da quel primo incontro son tornato a suonare a quel citofono consapevole di incontrare una mamma che mi avrebbe lasciato presto. Della sua malattia abbiamo parlato poche volte, preferiva dirmi delle cose belle: degli incontri fatti in ospedale, delle nipoti. In uno degli ultimi messaggi abbiamo parlato di fede e lei mi ha scritto: “Ti abbraccio forte. Anch’io non ho molta confidenza con Dio ma mi dà un vago senso di sicurezza. Mi chiedo: e perché non dovrebbe esistere se esistiamo noi?”. Quel 19 luglio è stato il nostro ultimo incontro. Per la prima volta non era riuscita ad alzarsi dal letto all’ora dello scoppio dell’autobomba, ma dalla sua stanza aveva partecipato. Avrà pensato ancora a quella verità che non è mai arrivata e che forse non arriverà mai. Ha davvero fatto il possibile e l’impossibile. Se n’è andata con una certezza: oggi molti di quei giovani che ha incontrato conoscono Paolo Borsellino e lo faranno conoscere ai loro figli.
Trasformò il 19 luglio, quel giorno in cui si ricordava la morte, in un giorno di festa, anno dopo anno