Il Fatto Quotidiano

Ecco chi ha regalato miliardi (nostri) a quei privati

Riassunto Conflitti d’interessi e veloci cambi di casacca da arbitro a giocatore: questa non è affatto una storia imprendito­riale, anche perché nessuno ha rischiato un euro

- » STEFANO FELTRI

Tariffe e non solo Nessun governo ha voluto/potuto intaccare la forza del “capitalism­o di relazione” in salsa veneta

Ancora in questi giorni qualcuno prova a spacciare quella di Autostrade per l’Italia come una storia economica, perfino imprendito­riale. Non è così, è una vicenda tutta politica, anzi, di un es tab li

shment ristretto che ha avuto tutti i ruoli nella vicenda. Gian Maria Gros Pietro e Pietro Ciucci sono il presidente e il direttore dell’Iri, la holding pubblica delle partecipaz­ioni, che nel 1999 vendono la quota di controllo delle Autostrade di Stato alla società della famiglia Benetton. Pochi anni dopo li ritroviamo come presidente delle Autostrade privatizza­te (Gros Pietro) e presidente dell’Anas (Ciucci), cioè della società pubblica che affida le strade in concession­e ai privati. Enrico Letta era sottosegre­tario nel governo Prodi che nel 2006 - su iniziativa del ministro Antonio Di Pietro - bloccò la fusione tra Autostrade e la spagnola Abertis, oggi è nel consiglio di amministra­zione di Abertis, entrato un attimo prima che ripartisse, nel 2017, il progetto di fusione.

CON LA PARZIALE eccezione del governo Monti, ogni esecutivo degli ultimi 25 anni ha fatto di tutto per consegnare a una famiglia - nota per il suo abbigliame­nto democratic­o e per le campagne fotografic­he di Oliviero Toscani - la più grande rendita pubblica, quella della gestione di autostrade costruite con fondi pubblici. Dalla cessione di Autostrade l’Iri incassa 7 miliardi circa. Nel 2002 i Benetton salgono dal 30 a oltre il 60 per cento: si indebitano per 7 miliardi che poi scaricano subito sulla società, fondendo il veicolo finanziari­o con Autostrade. Tradotto: non gli costa un euro. I Benetton non hanno mai fatto aumenti di capitale, non hanno mai immesso risorse fresche nell’azienda e questo rende difficile classifica­rli come imprendito­ri. Eppure il valore è cresciuto. Nonostante il titolo sia sceso del 22 per cento dopo il disastro di Genova, oggi Atlantia (il gruppo che contiene Autostrade) vale in Borsa ancora 15 miliardi, il doppio di quello che lo Stato incassò 25 anni fa.

La spiegazion­e si trova in un libro che ha avuto una circolazio­ne semiclande­stina, I si

gnori delle autostrade (Il Mulino), dell’economista Giorgio Ragazzi, collaborat­ore del

Fatto. Scrive Ragazzi: “Ripensando alla privatizza­zione, si può immaginare perché fosse stato difficile trovare investitor­i disposti a pagare un prezzo elevato per la Autostrade, gli investitor­i, soprattutt­o quelli esteri, percepivan­o il rischio che lo Stato avrebbe potuto essere poco accondisce­ndente in futuro, nella determinaz­ione delle tari ffe”. Quel rischio i Benetton lo hanno disinnesca­to in modi che sarebbero stati impossibil­i per un investitor­e straniero. Hanno presidiato quell’i n tr e ccio di scambi ricambiati che è stato nobilitato dall’etichetta di “capitalism­o di relazione”.

La prova è a disposizio­ne di tutti: controllat­e quanti giornali hanno scritto del più grave incidente stradale della storia d’Italia, 40 persone muoiono per un bus che finisce fuori strada vicino ad Avellino. Finiscono a processo con varie accuse tra cui l’omicidio colposo plurimo vari dirigenti di Autostrade, incluso l’amministra­tore delegato di Atlantia Giovanni Castellucc­i. I grandi giornali ignorano la vicenda, ci sono più articoli sulle dichia- razioni di rito dei politici dopo la strage che di cronaca giudiziari­a sul processo.

Le Autostrade hanno finanziato per anni i politici, poi sono passate a metodi più indiretti, dal sostegno a varie iniziative politiche o editoriali ( non mancano mai come sponsor a iniziative sulla sicurezza o festival editoriali: i soldi sono graditi a tutti). Il loro

soft power ottiene come risultato una sorta di mimetismo: nessuno sovrappone le campagne dei Benetton ( l’u lti ma sui migranti) al capitalism­o della rendita di cui sono protagonis­ti; il responsabi­le delle relazioni istituzion­ali Francesco Delzio fa l’editoriali­sta di Avvenire dove spesso denuncia lo strapotere delle lobby, le associazio­ni dei consumator­i invece di protestare per i rincari sono coinvolte dall’azienda in una “Consulta per la Sicurezza e la Qualità del Servizio” così vengono sedate. E da 25 anni, come ricostruia­mo qui accanto, Atlantia e i Benetton ottengono rincari e leggi su misura senza che ( quasi) nessuno protesti. Salassi accolti come calamità naturali. Almeno fino ai 38 morti di Genova.

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Ansa/LaPresse Bei tempi Luciano, Giuliana, Gilberto e Marco Benetton a Parigi per i 40 anni del gruppo
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