Quell’inutile gazzarra mediatica sul ponte crollato
“Se un lettore trova buono un articolo scrive all’autore, se lo trova brutto scrive alla redazione”. (Emmanuel Carrére, Un romanzo russo, Adelphi, 2018)
Progettato e costruito per unire due sponde, due terre, due storie, un ponte crollato divide e lacera invece come una ferita infetta, difficile da curare, rimarginare e guarire. Il disastro di Genova non ha colpito soltanto una città e la sua gente, ma tutta l’Italia e tutti gli italiani. E l’indegna gazzarra mediatica scoppiata subito dopo quella tragedia, con un tiro incrociato di dichiarazioni e articoli sui giornali, è destinata perciò a lasciare un segno profondo nell’opinione pubblica, una cicatrice che resterà a lungo nella nostra coscienza collettiva.
Di chi è la colpa? Di chi sono le responsabilità? Forse non lo sapremo mai con certezza, o lo sapremo chissà fra quanti anni, com’è accaduto purtroppo per tante altre tragedie nazionali. Fin d’ora sappiamo, però, chi doveva vigilare sulla sicurezza del ponte Morandi; chi doveva intervenire per tempo ed evidentemente non è intervenuto in modo adeguato di fronte ai primi segni di cedimento della struttura; chi doveva prevenire e impedire un disastro di tale portata.
SÌ, LA POLITICA in primo luogo, gli amministratori pubblici, i governi e i ministri che si sono succeduti fin da quando il ponte fu costruito negli anni Sessanta. Ma le responsabilità più gravi e immediate ricadono su chi gestisce quel tratto autostradale di cui il ponte Morandi faceva parte: cioè sui titolari di una concessione che lo Stato ha assegnato con una certa disinvoltura sull’onda di quelle “privatizzazioni selvagge” di cui il crollo – com’è stato detto giustamente – rappresenta in modo emblematico il “frutto avvelenato”. E quindi, per parlare chiaro, sui vertici di Atlantia, la holding del gruppo Benetton, di cui fa parte la società Autostrade.
D’accordo: non si può fare una speculazione politica sui morti e sui dispersi di Genova, ma si deve fare una riflessione più meditata e responsabile su quel “partito del No”, formato da ultrà ambientalisti, eco-radicali, antagonisti e più recentemente anche da una parte consistente dei Cinquestelle, che spesso hanno bloccato o rallentato la modernizzazione e lo sviluppo sostenibile del Paese. Giusta o sbagliata che fosse, la controversia sul progetto del nuovo snodo autostradale che dovrebbe alleggerire il traffico sul ponte Morandi ha raggiunto un livello parossistico di fanatismo e d’irrazionalità: fino a quella sinistra “favoletta” – com’era stata imprudentemente definita dal comitato “No Gronda” anche sul blog di Beppe Grillo – del ponte a rischio che però non sarebbe mai crollato.
In attesa dunque che la giustizia faccia il suo corso, un fatto è certo: nel frattempo, bisognava eseguire una manutenzione straordinaria su quel ponte vecchio di oltre mezzo secolo o, al limite, chiuderlo al traffico fino alla messa in sicurezza. C’è stata invece una speculazione mediatica che, da un lato, ha esasperato la polemica retrospettiva sulla “favoletta” e, dall’altro, ha enfatizzato le reazioni di Atlantia contro la minaccia di una revoca della concessione da parte del governo. Sorprende e dispiace che a questa gazzarra abbia partecipato anche una testata di antico prestigio e impegno civile come la Repubblica. Tanto più che l’ex amministratore delegato del gruppo editoriale Gedi a cui il giornale appartiene, e tuttora ad della Cir che ne è il principale azionista, è quella stessa Monica Mondardini che siede nel cda della holding che a sua volta controlla Autostrade per l’Italia Spa. Un conflitto d’interessi che non può rimanere sepolto sotto le macerie del ponte di Genova.