Il Fatto Quotidiano

Dragonfly, internet in salsa pechinese che non piace ai creativi di Mountain View

Il motore di ricerca censurato indigna i dipendenti

- » GIUNIO PANARELLI

Sono

1400 i dipendenti di Google che hanno scritto una lettera ai vertici della propria azienda per chiedere chiariment­i sul progetto Dragonfly, il motore di ricerca - censurato in partenza - che sta progettand­o di lanciare sul mercato cinese.

Nella missiva, resa nota dal New York Times, gli impiegati hanno fatto notare come il progetto di censurare Dragonflys­ollevi “urgenti questioni etiche e morali” e di avere “urgentemen­te bisogno di più trasparenz­a, e di un impegno a un processo chiaro ed aperto”.

“GLI IMPIEGATI di Google devono sapere cosa stanno creando” ha aggiunto lo staff del primo motore di ricerca al mondo che ha inoltre denunciato di non a- vere a disposizio­ne abbastanza informazio­ni per prendere decisioni “etiche sul proprio lavoro e i progetti”.

E se il l’amministra­tore delegato di Google, Sundar Pichai, ha provato a gettare acqua sul fuoco dicendo di essere “ancora lontano” dal lanciare il motore di ricerca in Cina, il tema è preso molto seriamente negli Stati Uniti come dimostra la lettere inviata da sei senatori, fra cui Marco Rubio, a Google per avere delucidazi­oni sul progetto.

Sulla questione un segnale po- co incoraggia­nte a Google è arrivato proprio dalle maglie della censura del governo di Pechino che, secondo il Columbia Journalism Review, ha eliminato l’articolo del Pe ople’s Daily, il quotidiano più letto del Paese, che parlava della volontà dell’azienda americana di entrare nel mercato orientale; un settore che fa gola se si consideran­o i 700 milioni di utenti Internet. A costo di sottostare a tutte le limitazion­i decise dal governo, Google vuole scavalcare la Grande Muraglia..

La Cina è un Paese chiuso er- meticament­e e i cinesi non usufruisco­no dei social network e motori di ricerca usati dagli occidental­i. A Pechino, come in altre città cinesi, chi cerca su internet utilizza Baidu, motore di ricerca obbediente ai dettami del regime, e chi vuole comunicare lo fa su WeChat senza aver mai sentito parlare né di Facebook, né di Twitter.

E che la censura a Pechino non badi tanto alle formalità lo dimostra la storia di Sun Wenguang, intellettu­ale, 84 anni, dissidente, arrestato nella sua abitazione a inizio agosto dalle forze dell’ordine in diretta web, durante un’intervista a Voice of America; di lui non si hanno più notizie.

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Ansa Espansione Un meeting a Taiwan

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