La maxi-truffa del San Daniele dop con il Dna danese
La frode dei prosciutti Chiusa l’inchiesta a Pordenone: 65 indagati A Torino altri 200 sotto accusa per salumi “di origine non protetta”
Prosciutti San Daniele venduti come prodotti di denominazione di origine protetta ( Dop), ma con qualità diverse da quelle previste per legge. Cosce di maiali nati in Italia con il seme di una razza, il Duroc danese, che ha caratteristiche diverse, ma rende di più. Un imbroglio ai consumatori tanto vasto che la procura di Pordenone ipotizza l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio. E non sarebbe l’unica in Italia. L’inchiesta, cominciata nell’e sta te 2016, è stata conclusa con ben 103 indagati: 62 persone, 25 imprese e sedici posizioni stralciate e inviate ad altre procure. Tra i 65 indagati ci sono allevatori, responsabili e impiegati del macello di Aviano, gestori di prosciuttifici e ispettori del Consorzio di tutela presunti complici. Nel corso dell’inchiesta sono stati sequestrati 270mila prosciutti (il 10 per cento della produzione di San Daniele) per un valore di mercato di circa 27 milioni di euro.
IL SOSTITUTO procuratore Marco Brusegan, che coordina i carabinieri del Nucleo antisofisticazione e salute (Nas), ipotizza anche una serie di truffe per ottenere contributi europei, reati fiscali e ambientali. Insomma, una maxi-inchiesta su un sistema di illegalità che ruota attorno alla produzione di prosciutti che sulla carta (e sull’etichetta) dovevano essere pregiati San Daniele Dop, ma erano di qualità inferiore perché non erano stati prodotti se- condo i requisiti del disciplinare di produzione. Questo regolamento non ammette l’utilizzo di cosce di maiali nati dal seme del Duroc danese. Con quei geni gli esemplari crescevano più rapidamente e con una carne più magra che stagionava in meno tempo. E così gli animali venivano abbattuti prima dei nove mesi previsti. La Coldiretti chiede “chiarezza in tempi rapidi sulla vicenda”: “Il prosciutto San Daniele è al secondo posto sul podio delle Dop di carne italiane e rappresenta il 22,5 per cento della produzione annua di prosciutti Dop italiani, e il 13,7 per cento della produzione di prosciutto crudo a totale Italia”, informa l’organizzazione sottolineando il valore economico del settore.
La prassi, però, si estendeva oltre il Friuli. Un’inchiesta, condot- ta dal procuratore aggiunto di Torino Vincenzo Pacileo e dal Nas, ha rilevato la diffusione in molti altri luoghi, tra cui l’area di produzione del prosciutto di Parma. Le due indagini sono “sorelle” nate dalla segnalazione dell’ispettorato della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, organo del ministero delle politiche agricole e alimentari. A Torino sono indagate quasi duecento persone, tra cui il tecnico di un centro genetico che aveva istituito questa “banca del seme” di Duroc danese venduto agli allevatori, moltissimi dei quali sono accusati di frode e falso per aver fatto nascere suini con dna “danese”: “Hanno spiegato che era il mercato a richiedere una carne di quel tipo – spiega l’avvocato Tom Servetto –, soprattutto i macelli e i prosciuttifici”.
A LORO VOLTA questi ultimi si reputano vittime del raggiro e non complici di un sistema. A settembre partiranno gli avvisi di conclusione delle indagini e molti fascicoli andranno in altre procure del Nord e del Centro Italia, soprattutto Cuneo, Parma, Mantova e Reggio Emilia. Nel frattempo dal 1° maggio, su ordine del ministero delle politiche agricole e alimentari, sono sospese le attività di certificazione dell’Istituto Parma Qualità (che dovrebbe vigilare sul Parma, ma anche sul prosciutto di Modena e il salame di Varzi) e della Ifcq Certificazioni (sotto cui ricade il controllo del San Daniele e tantissimi altri salumi italiani), accusate di non aver vigilato abbastanza.