Per colpa dei pomodori fallì la nostra rivoluzione
Sei amici tentano di occupare una scuola abbandonata
L’appartamento era al primo piano e la cucina aveva un grande balcone occupato quasi interamente da bottiglie di Peroni vuote. Nel corso dei mesi le avevano bevute i padroni di casa che non erano affatto degli alcolizzati, piuttosto lasciavano che tutto si accumulasse vivendo con sofferenza ogni forma di distacco. Accumulare aveva un effetto rassicurante sui due coinquilini che erano soprannominati rispettivamente Eluano e l’Iperdenso.
La sera del 16 agosto 1999 avevano quattro ospiti e attorno al tavolo discutevano di come avrebbero preso possesso de ll ’ ex istituto tecnico, una scuola chiusa da anni con tanto di lucchettoni agli ingressi. L’Iperdenso si era procurato un tronchese di un metro e venti da un ferramenta bolscevico e ora si proponeva di provarlo su un anello della catena della bici di Eluano, d’accordo con gli altri che si chiamavano Masello, Pelomen, Ferrandagio e Palminogeno. La passione per i soprannomi coinvolgeva tutti, e i 35 gradi medi di quell’estate pugliese glieli appiccicava addosso ancora di più. L’anello della catena saltò via: il tronchese si dimostrò della dimensione adatta. – In città non c’è un cane morto. Aspettiamo le due e andiamo. Disse Eluano agli altri.
L’EX ISTITUTO tecnico era un palazzone dei primi del 900 e la reale intenzione dell’allegra brigata di amici quella di violarlo e basta: truccavano una noia clamorosa col fondotinta delle intenzioni politiche, e poi avevano le magliette di Che Guevara a convincerli di essere rivoluzionari e non scassinatori. Il piano si articolava in due fasi. Nella prima si sarebbero recati davanti a una delle uscite laterali della scuola, l’Iperdenso e Ferrandagio avrebbero tenuto in posizione la morsa del tronchese, a Pelomen spettava stabilizzarlo, mentre Masello e Palminogeno ne avrebbero azionato i due bracci.
– E io che devo fare? – chiese Eluano deluso.
– Il palo – tagliò corto l’Iperdenso.
– Voi dovete fare i navy seals e io la piccola vedetta lombarda? – protestò Eluano.
– Ci vuole un minimo di forza. Tu sei la scorciatoia tra la ricotta e il crempurè.
– Vuoi vedere che non vengo?... Vengo – si arrese subito lui.
La brigata stabilì che il taglio del lucchetto avrebbe sancito l’inizio della fase due: spalancare il portone di metallo che dava su un cortiletto, controllare se l’unica finestra fosse aperta e introdursi nella scuola scavalcando il davanzale.
– E se la finestra è chiusa? – chiese Masello.
– La chiave ce l’ho io – ghignò Palminogeno mostrando una barattolo di pelati da un chilo.
– Se sfondiamo il vetro farà un casino terribile – aggiunse Eluano.
– Infatti. Controlliamo BENE che l’infisso sia chiuso o aperto. Se dovesse essere chiuso nessuno lanci nulla! – fece eco l’Iperdenso.
Tutti concordarono, poi scesero per strada. L’orologio segnava l’una e quaranta e la città in effetti era deserta. Eluano si era attardato per cambiarsi, lasciandoli in cinque ad attenderlo sul marciapiede. Si presentò qualche minuto dopo con un paio di zoccoli olandesi muccati comprati in un autogrill mesi prima, che producevano un trattattattà assordante.
– Sei cretino – disse Pelomen.
– Perché?
– Non è una domanda. Vatti a cambiare le scarpe – ordinò.
Eluano risalì in casa accompagnato dal trattattattà e quando ridiscese aveva ai piedi le sue scarpe da calcetto.
– Dobbiamo andare giocare a pallone? – scoppiò a ridere Ferrandagio nel vederlo.
– Dovete andare a fare in c… – ma non poté concludere la frase perché Masello lo bruciò sul tempo.
– Vanno benissimo. Andiamo, dai.
Si incamminarono tutti e sei vogliosi di riempire l’horror vacui di cui erano vittime, armati del tronchese, di un barattolo di pelati da un chilo e un lucchetto nuovo che avrebbero sostituito al vecchio. Lo avevano previsto, procurandosene uno identico. Percorso qualche isolato, all’angolo di via della pace, comparve la scuola e gli amici poterono innescare la fase uno. Il lucchetto venne via con facilità, il portone di metallo si aprì e il cortiletto con la finestra apparve nella sua interezza. Subito dopo… ci fu un boato e una cascata di vetri rotti. Poi il barattolo di pelati esplose toccando il pavimento e nel giro di otto secondi i facinorosi si dileguarono lasciandosi alle spalle il portone di metallo spalancato. Si ritrovarono sotto casa, con il fiatone e una gran voglia di lapidare Palminogeno.
– Caro, cosa non ti è risultato chiaro in “Nessuno prenda ini- ziative fino a che non constatiamo se la finestra è aperta o chiusa”??? – furoreggiò l’Iperdenso.
– Scusa – fece spallucce Palminogeno che in realtà aveva sempre sognato di sfondare le finestre con i barattoli di pelati.
– Abbiamo lasciato il portone aperto! – si mise le mani in faccia Ferrandagio.
– Dobbiamo tornare per mettere il lucchetto nuovo – aggiunse Masello che ce l’aveva in tasca, contro il parere di Pelomen che paventava già l’ergastolo per tutti e sei.
RITORNARONO sul luogo del delitto. Nessuno si era accorto di nulla e la città era ancora più muta di quanto non lo fosse un’ora prima. Masello prese l’iniziativa, varcò la soglia e si diresse alla finestra semi distrutta constatando che era aperta.
– Era aperta, trimone – disse a Palminogeno.
Entrarono tutti tranne Pelomen che rimase fuori a profetizzare arresti imminenti, e la loro eccitazione scomparve quasi istantaneamente. Fecero il giro della scuola dove centinaia di banchi e sedie erano sparsi in un disordine polveroso, mentre le loro torce elettriche illuminavano l’ambiente quasi fossero immagini subacquee di un relitto, cento metri sotto il mare con alghe danzanti di ragnatele. Il rumore di qualcuno che correva per le scale li distolse dall’immersione e vennero raggiunti dalla voce affannata di Pelomen, che apparve subito dopo.
– Nel palazzo di fronte c’è un tale dietro una persiana che ha chiamato i carabinieri.
Alla parola “carabinieri” la brigata non fece domande, ma stavolta Masello non scordò di chiudere il portone di metallo, né di sostituire il lucchetto. Ritornati a casa la cucina era inondata da un’alba cremosa ed Eluano chiese a Pelomen se era certo di quanto avesse affermato. Lui rispose solo: “Forse ha chiamato la Polizia, o la finanza”.
– Sì, vabbè, direttamente l’uomo ragno Pelomen! – lo mandò a quel paese lui, rivolgendosi poi agli altri.
– L’abbiamo vista la scuola, e mo’?
– Lo dobbiamo decidere adesso? – sbadigliò Palminogeno.
– N o… stasera – a gg iun se Masello.
– Oggi è giovedì – ricordò a tutti l’Iperdenso.
– Quindi? – si stranì Ferrandagio.
– Il giovedì si gioca a pallone – sentenziò Pelomen.
Ottava puntata dedicata alle short story d’autore Iperdenso, Eluano, Masello, Palminogeno, Ferrandagio e Pelomen (questi i loro improbabili soprannomi) scacciano la noia progettando un’incursione paramilitare Hasta la victoria siempre Il piano tragicomico del gruppo, in divisa con le magliette del Che, è violare l’ex istituto tecnico La strategia prevede due fasi