Quei poteri negati all’Autorità dei Trasporti
Il presidente chiese invano di potersi occupare anche delle infrastrutture privatizzate
Nata
nel 2013 con 17 anni di ritardo rispetto ai tempi opportuni, per di più zoppa e di debole costituzione, l’Autorità dei Trasporti (Art) provò quasi subito a irrobustirsi. Andando a sbattere sul potere politico che non ne voleva sapere. Il suo presidente, Andrea Camanzi, chiese al governo più poteri con l’intenzione di controllare in maniera meno evanescente i contenuti economici e finanziari delle concessionarie autostradali. Nel corso di un’audizione il 5 maggio 2015 alla Commissione Ambiente e Lavori pubblici della Camera, Camanzi disse chiaro che senza modifiche l’Autorità sarebbe diventata come un cane da pagliaio, capace solo di abbaiare, ma senza denti per mordere.
LO SPAZIOdi intervento che la legge le attribuiva escludeva tutte le concessioni esistenti, cioè le più importanti, a cominciare da quella dei Benetton la cui durata si spinge addirittura fino al 2038. Camanzi indicò al governo e al parlamento la strada per cambiare indirizzo. Invocò la norma- tiva europea e lo ius variandi (cioè la possibilità di tornare sulle proprie decisioni ed effettuarne altre). Sostenne che se l’Autorità non poteva intervenire sulle vecchie concessioni perché non poteva essere ignorato il principio pacta sunt servanda (i contratti sottoscritti devono essere rispettati), sarebbe stato opportuno considerare come novità contrattuali gli eventuali allungamenti o le modifiche sostanziali delle concessioni ottenute per esempio con l’approvazione degli atti aggiuntivi e dei nuovi piani finanziari. Su queste parti nuove l’Autorità avrebbe potuto mettere becco.
Era una richiesta dettata dal buon senso quella del presidente dell’Art, un modo per togliere i controlli pubblici dall’angolo in cui di fatto erano stati infilati fin dalla nascita. In risposta ricevette un silenzio che equivaleva a un no di fatto dal governo presieduto a quel tempo da Matteo Renzi con Graziano Delrio ministro dei Trasporti. Nei mesi e negli anni successivi i due imboccarono addirittura una strada opposta con la modifica sostanziale delle concessioni ai Gavio e ai Benetton per effetto di una proroga di quattro anni per ciascuno senza però nel frattempo dare all’Autorità i poteri di controllo che stava chiedendo.
IN QUEI GIORNI l’e pis od io passò quasi inosservato, roba di ordinaria amministrazione in un clima politico tutto permeato dalla propagandata e prorompente voglia di fare e assai poco attento a come fare e come controllare. Oggi quel rifiuto acquista un significato diverso e inquietante dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, una tragedia che ha e- videnziato lo squilibrio malato tra Stato concedente e concessionari, a partire dai Benetton. Un rapporto nel quale il primo ha rinunciato alle sue prerogative permettendo ai secondi di spadroneggiare a danno degli italiani.
Il ponte Morandi forse sarebbe venuto giù lo stesso, anche se all’Autorità fosse stato concesso ciò che chiedeva, ma di certo i governi che si sono succeduti fino ad oggi invece di considerare i controllori pubblici e terzi come preziosi alleati per il buon funzionamento del sistema autostradale, li hanno relegati nella scomoda parte dei questuanti inascoltati.
L’audizione
Il presidente Camanzi invocò senza esito le norme europee davanti al Parlamento