Il Fatto Quotidiano

Tutti i processi per i ponti crollati in mezza Italia

- GIANNI BARBACETTO ANDREA GIAMBARTOL­OMEI PIERFRANCE­SCO CURZI VINCENZO IURILLO GIUSEPPE LO BIANCO PAOLA PINTUS FERRUCCIO SANSA

La strage fu in Irpinia, il 28 luglio di cinque anni fa. Morirono 40 persone intrappola­te in un pullmino turistico precipitat­o dal viadotto di Acqualonga. È in corso un processo ad Avellino con 15 imputati tra cui l’Ad di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucc­i, il direttore generale dell’epoca Riccardo Mollo ed alcuni responsabi­li della sicurezza dell’A16 Napoli-Canosa, nonché direttori e funzionari del tronco autostrada­le dal 2010 in poi.

Il 4 settembre è attesa la superperiz­ia commission­ata dal giudice Luigi Buono al professore di Ingegneria dell’Università di Parma Felice Giuliani. Il bus, vecchio, in pessime condizioni e con un certificat­o di revisione che si scoprirà fasullo, andò in avaria per la rottura dei freni. L’autista ne perse il controllo e il mezzo, dopo una carambola tra le auto, finì la corsa sul new jersey di protezione, sfondandol­o. Il perito dovrà chiarire i dubbi sulla dinamica e sulla tenuta della barriera, emersi dopo il confronto delle consulenze di parte. Secondo l’accusa, la scarsa tenuta dei tirafondi, i bulloni di sostegno del guardrail, furono tra le concause del volo del pullmino: new jersey in buone condizioni avrebbero potuto resistere allo scontro. Per i consulenti delle difese l’incidente trasformò il bus, lanciatiss­imo in discesa, in una bomba che nemmeno una barriera a norma avrebbe potuto disinnesca­re. Peraltro i periti di Aspi hanno ammesso che i tirafondi non erano idonei al momento dello schianto, ma il loro deterioram­ento non era visibile dall’esterno, come mostrato da tutti i test previsti dal protocollo per valutare la condizione delle barriere stradali, e quindi non si poteva imputare a una cattiva condotta dell’azienda. La sentenza arriverà poco prima di Natale, le parti civili sono già state liquidate da Autostrade.

CARASCO (GENOVA)

L’alluvione e il crollo: tutti assolti in primo grado

Era il 22 ottobre 2013. Sull’entroterra di Genova cadeva una pioggia torrenzial­e e in poche ore le alture si trasformar­ono in montagne di fango. I torrenti secchi diventaron­o fiumi impazziti. Capaci di spazzare via i ponti. Così a Carasco persero la vita Gino Gattorna di 68 anni e Claudio Rosasco di 45. Viaggiavan­o sulla loro auto quando il ponte si sgretolò sotto le loro ruote e finirono nello Sturla.

Subito fu un susseguirs­i di promesse di giustizia. Sul banco degli imputati finirono quattro dipendenti della ex Provincia di Genova, ormai città metropolit­ana, due dirigenti e due funzionari. Il pm genovese Alberto Landolfi chiese pene fra i due e i tre anni. Secondo il pm “l’evento sarebbe stato esito di una prolungata inosservan­za di controlli programmat­i e periodici”. Ma la difesa controbatt­è che l’erosione del pilastro crollato era avvenuta in poche ore. Così in primo grado tutti gli imputati sono stati as- solti (con la formula della vecchia insufficie­nza di prove). Erano già stati prosciolti nel giudizio disciplina­re. Ora a Genova si attende il processo di Appello. La prescrizio­ne incombe.

OLIENA (SARDEGNA)

Un poliziotto ucciso, i lavori e il nuovo crollo

Durante la tragica alluvione del 18 novembre 2013 in Sardegna crolla il ponte di Oloè, tra Oliena e Dorgali (Nuoro), inghiotten­do l’auto della polizia su cui viaggiava l’agente Luca Tanzi, che in piena dell’emergenza con i colleghi scortava un’ambulanza in difficoltà. La vicenda è stata oggetto di un procedimen­to giudiziari­o in due fasi, prima e dopo i lavori Anas di ripristino del 2017 costati tre milioni di euro, che non hanno evitato un nuovo cedimento ed il conseguent­e sequestro da parte della Procura di Nuoro. Il primo filone d’inch ies ta (poi confluita nel maxi processo sui danni e i morti del ciclone Cleopatra: oltre 80 imputati) aveva preso avvio dall’ipotesi di un errore iniziale di progettazi­one e di collocazio­ne del ponte sul greto del fiume Cedrino, sottoposto a fenomeni di erosione messi in relazione dai pm con il successivo crollo, insieme alla mancanza di controlli e manutenzio­ne. Trenta gli imputati per il crollo e la morte dell’agente Tanzi: fra questi l’ex presidente della provincia Roberto Deriu, l’ex direttore del Corpo Forestale Car- lo Masnata, l’allora comandante provincial­e Gavino Diana, gli ex assessori provincial­i Franco Corosu e Paolo Porcu e il responsabi­le della Protezione civile Paolo Marras. Sotto processo anche sei dirigenti provincial­i. A loro si aggiungono gli imputati del fascicolo aperto nel 2017 dopo il nuovo cedimento: l’imprendito­re Roberto Sacramati, il suo direttore tecnico Gianfranco Castiglion­i e il direttore dei lavori per conto dell’Anas Antonio Giacobbe. L’accusa è la frode in pubbliche forniture e attentato alla sicurezza dei trasporti.

PALERMO-AGRIGENTO

L’inaugurazi­one e poi il cedimento

“Inaugurato il 23 dicembre, crolla in 10 giorni. Ho chiesto a Anas nome responsabi­le. Pagherà tutto’’, annunciò in un tweet Matteo Renzi all’inizio del 2015. E oggi per lo smottament­o del viadotto Scorciavac­che sulla Palermo-Agrigento, sono imputati l’ex presidente dell’Anas Pietro Ciucci, il direttore regionale in Sicilia Salvatore Tonti, e altri 13 tra funzionari e tecnici anche della Bolognetta Spa, l’Ati tra i due colossi della cooperazio­ne rossa, Ccc e Cmc di Ravenna, e la Tecnis degli imprendito­ri catanesi Mimmo Costanzo e Concetto Bosco, finiti ai domiciliar­i per un’altra inchiesta sugli appalti Anas. La Procura di Termini Imerese ha chiesto il rinvio a giudizio per attentato alla sicurezza dei trasporti e falso, si attende la decisione del gip.

Le indagini hanno accertato che la struttura, costata 13 milioni di euro, fu inaugurata con tre mesi di anticipo, “nonostante non sussistess­e alcuna necessità o urgenza e l’organo di collaudo non avesse mai eseguito alcuna visita o so pr all uo go ” e “nella fase progettual­e venivano assunti come riferiment­i parametri geotecnici non rappresent­ativi della realtà territoria­le” ed in quella esecutiva “venne eseguito un numero esiguo di prove di carico su piastra”. “Non fu un crollo, ma uno smottament­o: io cosa dovevo fare? – disse il presidente di Cmc Massimo Matteucci al Resto del Carlino, tre mesi prima di morire – andai dal presidente dell’Anas, dal comandante dei carabinier­i, dal prefetto a dire: ci siamo sbagliati, 300 mila euro li paghiamo noi e mettiamo tutto a posto”. Sulla Palermo-Agrigento si continua a lavorare su un cantiere di 38 chilometri.

PALERMO-CATANIA

Processo in corso Himera riaprirà nel 2020

Minacciato da una frana dal 2005, il viadotto Himera è crollato nell’aprile del 2015, quando la massa di terra ha raggiunto un pilone sull’autostrada Palermo- Catania, nel Comune di Caltavutur­o ( Palermo). Nessuno aveva mai segnalato il pericolo, come rilevò anche l’allora ministro Graziano Delrio, e oggi al tribunale di Termini Imerese rispondono di omissione di atti di ufficio e attentato alla sicurezza dei trasporti il responsabi­le della Protezione

Otto casi in cinque anniDal guardrail sfondato in Irpinia (40 vittime) ai viadotti e ai cavalcavia che hanno ucciso altre sei persone dal 2013 ad oggi, prima del disastro di Genova Crolli continui Sui banchi degli imputati gestori delle strade, imprese dei lavori e amministra­tori locali

Civile regionale Calogero Foti, l’ex sindaco di Caltavutur­o Calogero Lanza, il responsabi­le comunale della Protezione civile Mariano Sireci, e due dipendenti dell’Anas: Salvatore Muscarella e Giuseppe Siragusa, preposti alla vigilanza. Prossima udienza il 12 ottobre. Nel chiedere lo stato di emergenza la Protezione Civile attribuì il disastro alla pioggia dell’ultimo inverno, come segnalò l’esposto di un gruppo di cittadini nato su Facebook, “Adesso Basta’’, che evidenziò l’investimen­to inutile di oltre un miliardo e mezzo tra fondi europei e statali per la sicurezza delle infrastrut­ture in Sicilia. Secondo l’Anas il nuovo viadotto doveva essere completato entro il 2018, ma i lavori, iniziati in primavera, si concludera­nno all’inizio del 2020, per un costo di 11 milioni di euro tra i disagi per gli automobili­sti a cui il Movimento 5 Stelle cercò di rimediare finanziand­o la ristruttur­azione di una trazzera alternativ­a con parte degli stipendi dei 14 deputati regionali.

ANNONE BRIANZA (LECCO) L’allarme tre ore prima non evita una vittima

La telecamera fissa dell’Anas che riprende il ponte di Annone, in Brianza, alle 17.20 del 28 ottobre 2016 documenta un crollo agghiaccia­nte. Il ponte fa parte della strada provincial­e 49 che unisce Annone a Cesana Brianza (di competenza della Provincia di Lecco) e scavalca la superstrad­a 36 Milano- Lecco ( di competenza de ll’Anas). Alle

17.20 un tir carico di bobine d’acciaio, trasporto eccezional­e dal peso stimato di 100 tonnellate, passa lentamente sul cavalcavia. Quando è al centro, di colpo precipita, con tutto il ponte, su una Audi bianca che in quel momento sfreccia sotto la campata, sulla superstrad­a Milano-Lecco. Resta schiacciat­o il conducente, Claudio Bertini. Feriti l’autista del tir e altri automobili­sti. Nel video u n’auto vola letteralme­nte nell’aria prima di precipitar­e tra le macerie.

L’allarme era stato dato tre ore prima, quando dal ponte erano caduti i primi calcinacci. Ma i responsabi­li dell’Anas e della Provincia di Lecco non erano riusciti a mettersi d’accordo su competenze e procedure per chiudere il caval- cavia. L’inchiesta della Procura di Lecco, dopo quasi due anni, è ancora in corso. Sotto l’attenzione degli investigat­ori sono i responsabi­li locali dell’Anas, della Provincia di Lecco, dell’azienda proprietar­ia del tir e della Provincia di Bergamo che gli aveva concesso i permessi al tir.

Il cavalcavia non è ancora stato ricostruit­o. Il ministero dei Trasporti ha incaricato Anas di progettarl­o e realizzarl­o nell’aprile 2017. Dopo la trafila burocatica, il progetto è stato approvato il 21 novembre 2017. Il bando di gara Anas è stato pubblicato il 29 novembre 2017 e il 28 marzo 2018 sono stati consegnati i lavori all’impresa Coest (Costruzion­i e Strade srl), in raggruppam­ento temporaneo con Bea Service snc. Sarà un ponte in acciaio ad alta resistenza, a campata unica, con soletta in calcestruz­zo armato appoggiata sulla parte inferiore di due travi laterali in acciaio. Sarà lungo 44 metri e largo 8 e mezzo, con percorsi separati, protetti da barriere, per ciclisti e pedoni. Reggerà traspor- ti eccezional­i fino a 108 tonnellate. Costo previsto, 2 milioni di euro. Previsione di durata lavori: 340 giorni.

ANCONA “Manutenzio­ne sbagliata” Così si muore in A14

“La vita dei miei genitori non è servita a niente. In Italia deve sempre accadere qualcosa per riaccender­e l’a tt e n zi one”. Dopo il disastro di Genova è l’amaro commento di Daniele Diomedi, figlio di Mimmo e Antonella, i coniugi di Pagliare del Tronto uccisi dal crollo del ponte 167 del l’A14 tra Loreto e Ancona Sud il 9 marzo del 2017. Quel mattino i Diomedi viaggiavan­o verso nord quando l’intera campata del viadotto è piombata al suolo schiaccian­do la loro vettura. Un anno e mezzo dopo il ponte è stato ricostruit­o e riaperto al traffico. Snodo fondamenta­le per alleggerir­e la circolazio­ne sulla statale 16 e nell’abitato di Osimo Stazione: “Nessun festeggiam­ento, solo la riapertura di un tratto nevralgico”, ha commentato il sindaco di Castelfida­rdo, Roberto Ascani, il 22 giugno dopo il taglio del nastro. La Procura di Ancona ha iscritto 41 nomi, tra persone fisiche e società, nel registro degli indagati. Tra loro i tre operai romeni di una ditta in subappalto da parte della Pavimental, l’azienda che si era aggiudicat­a l’intervento per il ponte 167. Il committent­e? Autostrade per l’Italia. Il 9 marzo del 2017, secondo gli inquirenti, si verificaro­no una serie di errori da parte dei manutentor­i, oltre 40 minuti di manovre errate. Gli operai avrebbero dovuto spostare il troncone centrale del cavalcavia per unirli ai due piloni laterali. Forse i martinetti necessari per sostenere le campate non erano stati piazzati nel modo giusto e all’improvviso l’intera campata venne giù, di netto.

PIEMONTE La tangenzial­e finisce sull’auto dei carabinier­i

A Fossano (Cuneo) i cavi di acciaio, sezionati per l’indagine, sono ancora sotto i teloni nel parcheggio del cimitero. Sono sotto sequestro e non possono essere rimossi come le macerie di cemento e asfalto del crollo del viadotto della tangenzial­e avvenuto il 18 aprile 2017. La causa di quel cedimento, che ha soltanto distrutto l’auto dei carabinier­i impegnati in un posto di blocco, non è ancora nota. “Da più di un anno aspettiamo di conoscere il perché – denuncia il sindaco Davide Sordella –. Da noi i morti non ci sono stati per pura coincidenz­a. La mia paura è che alla fine non ci sia nessun responsabi­le”.

L’indagine del pm Pier Attilio Stea per disastro colposo è in corso: si attende una perizia. Dei dodici indagati, cinque sono dipendenti delle ditte che realizzaro­no i lavoro, la “Ingegner Franco spa” (cessata da tempo) e la Grassetto spa (poi rilevata da “Itinera” del gruppo Gavio che le affidò il subappalto). Ci sono poi un direttore dei lavori dell’Anas, due suoi collaborat­ori e quattro componenti della commission­e collaudo. Allo stesso tempo la commission­e ispettiva dell’Anas annuncia una sua relazione conclusiva. Secondo indiscrezi­oni, il crollo sarebbe dovuto all’usura e al cedimento dei cavi di acciaio che tenevano insieme le componenti di cemento.

Al momento su questa strada che collega Cuneo e Alba, molto utilizzata per il trasporto merci tra il Piemonte e la Liguria, c’è una sola corsia aperta. I lavori di ripristino del viadotto, per circa 8,5 milioni di euro, potrebbero cominciare nel 2019, ma il consolidam­ento della struttura costerà fino a 30 milioni di euro.

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