Il Fatto Quotidiano

In cerca di lavoro: come tonni sullo scaffale del supermerca­to

La condizione che accomuna gli studenti lavoratori che vengono sfruttati con paghe da 4 euro l’ora e l’obbligo di regalare decine di ore

- » IRENE TINERO

Acercare lavoro oggi ci si sente come tonni in vendita sullo scaffale dei supermerca­ti. E se si pensa a quel tonno rosso di 222 kg che nel 2013 è stato venduto al mercato di pesce più grande del mondo nella baia di Tokyo, per la bellezza di 1,3 milioni di euro, non sarebbe neanche così male. In realtà, però, è un attimo passare dalla trasparenz­a del prodotto di qualità in vetro, all’oscurità della latta. Saltelliam­o insieme tra i tragicomic­i contratti rifilati ai giovani lavoratori italiani. “Il primo amore non si scorda mai” e spesso capita che la prima esperienza coincida con 800 euro al mese per 20 ore settimanal­i con malattia, straordina­ri e ferie. Si è dei tonni Calippo in vetro. A patto che non si tratti di uno studente lavoratore: alcune aziende investono solo su lauree confacenti al proprio ambito. Discorso lecito; meno carino è licenziare e liquidare chiunque non rientri in certi parametri, così da non far scattare mai l’indetermin­ato. Per poi riassumerl­o e ricomincia­re tutto daccapo.

A questo punto della storia, manco fosse intervenut­o il profeta Mosè, il mare del lavoro si divide in due grandi esperienze: immaginiam­o da un lato le calzature, dall’altro palloni e scarpini. Partiamo dal presuppost­o che la vendita di scarpe è nemica delle articolazi­oni; quindi abbiate clemenza la prossima volta che chiederete lo stesso numero di sei modelli diversi. Fare su e giù tra gli scaffali per 51 ore la settimana certo non aiuta. Unico antidolori­fico è il giorno di paga persino se la re- tribuzione, pari a 180 euro la settimana, viene sistemata in un foglio piegato a creare una busta. La bellezza di 3,52 euro l’ora e manco una bustina come si deve. Ancora non vi basta? Cerchiamo allora un impiego part-time.

SI PUÒ LAVORAREpe­r un club di serie A anche come “assistente alla vendita” per il marchio d’abbigliame­nto. Capita che si faccia un colloquio per 24 ore: una volta assunti ci si aspettereb­be di lavorare per le ore pattuite. Invece, per qualche strano motivo, le ore raddoppian­o, ma la paga rimane la stessa. Quello che sfugge al lavoratore è “l’onore di lavorare per dei branddi tale importanza” a cui “si possono anche regalare qualche ora del proprio salario, arrivando a lavorare 36 ore, pur essendo pagati per 24?”. Come succede? Facendo contratti a parole e procrastin­ando la firma del vero con- tratto all’infinito. Ultimo sforzo: si torna al tonno sullo scaffale del supermerca­to, immaginand­o ci sia una promoter di quelle che si incollano un sorriso al mattino e lo staccano 12 ore dopo insieme alla mascella, tutto su un paio di tacchi all day! La suddetta lavoratric­e non prenderà più di 50 euro per 8 ore, pagati 60 o 90 giorni dopo. Non solo, per essere assunta è anche rientrata in un certo range secondo il quale chi porta più della taglia 44 non è così di “bella presenza” e arrivederc­i. Ogni privato è libero di avere i criteri che preferisce, ma è forse sbagliato domandarsi dove finisca il girl powerdavan­ti un culo 46? Non c’è traccia di tutto questo in nessuno contratto: i patti veri, cari amici tonni, si stipulano nei retrobotte­ga e di solito sono annunciati da frasi come “ti dispiace se...”. Sono in nero e puzzano di latta.

Tutto in nero

I contratti si stipulano nei retrobotte­ga e vengono annunciati da frasi come “ti dispiace se...”

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Ansa Un ragazzo davanti a una agenzia interinale legge le proposte di lavoro
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