Il Fatto Quotidiano

La condanna della pedofilia nell’antica Roma

- » ORAZIO LICANDRO

Lo scandalo dei 301 sacerdoti della Pennsylvan­ia implicati in gravi vicende di pedofilia e di abusi sessuali contro minori continua a scuotere non solo la Chiesa ma l’opinione pubblica internazio­nale, nonostante la coraggiosa posizione di papa Francesco. Altro problema antico, la pedofilia era avvertita diversamen­te. In Grecia era assai tollerata, e anzi se ne attribuiva un valore iniziatico e formativo. Stratone, per esempio, poetava sull’età: “D’un dodicenne il fiore mi godo; se tredici sono gli anni, più forte desiderio sento; chi n’ha quattordic­i spira delizia più forte d’amore, più gusto chi nel terzo lustro va; il sedicesimo è un anno divino ( Antologia Palatina 12.4)”. Diversa la percezione a Roma, dove il rapporto con il minore ( stuprum cum puero) era illecito e perseguito. Ciononosta­nte questo tipo di rapporti era largamente praticato soprattutt­o ai danni di chi si trovava in condizioni di totale subalterni- tà. Lieve è Catullo nel cantare il rito del matrimonio che vedeva lo sposo dover abbandonar­e il suo concubinus , cioè il giovane schiavo con cui intrattene­va una relazione sessuale: “Le noci ai ragazzi non neghi il concubino, sentendo che ha perduto l’amore del padrone. Concubino svogliato, dà le noci ai ragazzi! Hai giocato abbastanza con le noci! Di servire Talasaio è l’ora, ormai. Concu- bino coraggio dà le noci. Si dice in giro, o sposo profumato, che rinunciare ai tuoi ragazzi imberbi ti pesa assai. Ma devi farlo. Viva Imeneo. Sappiamo bene che conosci solo piaceri consentiti. Ma per un marito questi piaceri non lo sono più. Viva Imeneo” ( Catullo, Carmina 61.136-144). Potremmo dire, con Catullo, che anche oggi “il tempo delle noci” debba finire!

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