Sul massacro Rohingya, l’Onu vuole processo
L’accusa L’Onu vuole un processo per il capo dell’esercito Min Aung Hlaing: è responsabile della persecuzione verso la minoranza musulmana
Ivertici dell’esercito birmano devono essere processati per genocidio e crimini di guerra contro la minoranza musulmana dei Rohingya, denuncia il rapporto della missione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, creata nel marzo 2017.
A un anno dalle agghiaccianti immagini di donne, bambini e vecchi derelitti in fuga dalle violenze dei soldati e dei nazionalisti buddisti, l'Onu non solo ritiene che ci siano prove per dimostrare che i militari hanno deportato civili inermi, ma abbiano pianificato e perpetrato un genocidio per questioni etnico- religiose. Ovvero i più infamanti crimini di guerra, commessi peraltro sotto gli occhi di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace e fino a 8 anni fa leader della resistenza birmana dalla casa-prigione dove era stata confinata per 15 anni, su ordine della giunta militare allora al governo del Paese.
Secondo il rapporto della missione d'inchiesta indipendente dell'Onu, sul Myanmar, l'attuale consigliera di Stato e ministro degli Esteri “non ha usato la propria posizione di capo del governo de facto, né la propria autorità morale, per arginare o impedire gli eventi in corso nello Stato di Rakhine”.
Nonostante gli investigatori delle Nazioni Unite siano consci che “le autorità civili birmane – si legge nel documento – avessero poco margine, attraverso le proprie azioni e omissioni hanno contribuito alla realizzazione di crimini atroci”.
L’ambiguità di The Lady
Se è vero che l'ambigua The Ladyera ed è senza ombra di dubbio in una posizione difficile, dato che la Costituzione assegna tre ministeri ai generali dell'esercito, è altrettanto acclarato che li ha appoggiati. Del resto mettersi contro il generale Min Aung Hlaing, il comandante in pectore delle forze armate non è affare da poco ed è, ovviamente, molto rischioso. Hlaing inoltre gode di grande popolarità da parte della maggioranza dei birmani per il suo passato di strenuo oppressore di tutte le minoranze etniche che compongono il puzzle demografico del Paese e che per anni hanno combattuto contro lo Stato centrale.
Con le elezioni del 2015 sembrava che le cose potessero cambiare, che Aung San Suu Kyi potesse provare a limitare il potere dell’esercito e imporre, col tempo, un governo senza più divise. Ma non è andata così, soprattutto per la determinazione del comandante sessantenne, diventato capo dell’esercito nel 2011. Colui che due anni prima aveva guidato le operazioni milita- ri nel Myanmar occidentale contro due minoranze etniche, gli Shan al confine con la Thailandia e i Kokang al confine con la Cina: decine di migliaia di persone furono costrette a lasciare le loro case e a superare il confine, e l’esercito fu accusato di uccisioni, stupri e incendi sistematici, le stesse violenze usate negli ultimi mesi contro i Rohingya nel nord del Rakhine, Stato occidentale del Myanmar.
Hlaing così come The Lady continua a sostenere che i Rohingya siano di origini bengalesi, ossia provengano dal confinante Bangladesh.
Un modo per giustificare decenni di persecuzioni ed emarginazione. Prima di diventare l’uomo più potente del Myanmar, Min Aung Hlaing aveva studiato Legge in attesa di superare l'esame di ammissione alla più prestigiosa accademia militare birmana che lo respinse per ben tre volte. Il New York Times lo ha descritto così : “Era conosciuto per il suo sorriso, ma la sua attitudine a far ricadere le proprie colpe sugli altri gli procurò molti nemici”.
La strategia dei “quattro tagli”
Anche i colleghi d'accademia non lo amavano perché sembra avesse il vezzo di bullizzare i nuovi arrivati. Quando nel 1977 divenne ufficiale di fanteria iniziò a mettere a punto la strategia dei cosiddetti “quattro tagli” contro le riottose minoranze: isolare i ribelli dai civili interrompendo i rifornimenti di cibo, di soldi, la trasmissione di informazioni e il sostegno popolare.
A volerlo nominare a tutti i costi comandante dell'esercito fu il suo predecessore, il generale Than Shwe perché lo riteneva leale al punto che, in cambio della massima promozione, avrebbe evitato di metterlo ai ceppi per le brutalità commesse durante il mandato e per la fortuna accumulata in servizio, accaparrandosi i proventi della vendita di pietre preziose e legname di cui il paese è ricchissimo.
Secondo la Costituzione del 2008 all’esercito è garantito anche un quarto dei seggi nel Parlamento birmano, così da permettergli di porre il veto a riforme sgradite; la nomina di tre ministri importanti; il comando della polizia e delle guardie di frontiera e il controllo di ampi settori dell’economia.
I militari continuano inoltre ad avere enorme potere nella gestione delle terre, che in Myanmar sono per lo più di proprietà del governo. Finora al Comandante era andato dunque tutto liscio, e non è detto che il trendpositivo si interrompa a causa delle accuse dell'Onu. Anzi, la popolazione potrebbe al contrario sostenerlo maggiormente per ‘spirito di patria’ e nominarlo capo dello Stato nelle elezioni del 2020. Carica a cui aspira senza nascondersi.
Nella polvere
San Suu Kyi “non ha usato la sua posizione nel governo per impedire gli eventi”