Il Fatto Quotidiano

CASO REGENI, ERRORE A 5 STELLE QUELL’INCONTRO CON AL SISI

Di Maio non doveva incontrare il tagliagole egiziano del caso Regeni. L’ipocrisia su Eni. Mentre l’Italia resta sempre a Kabul

- » MASSIMO FINI

Il vicepremie­r ha rilanciato le relazioni tra Roma e Il Cairo, lodando il colosso energetico che è rimasto lì, ‘anche nel periodo più difficile’... non olet TERRORE E REPRESSION­E AL CAIRO L’ordine di uccidere Giulio, se non direttamen­te dal generale, dipende dalla filiera dei Servizi da lui controllat­i

“ANDIAMO VIA”: SOLO PROMESSE? L’anno scorso Di Battista disse che col M5S al governo il nostro contingent­e a Herat sarebbe tornato. Quindi?

Giovedì Marco Travaglio sottolinea­va le cose che non funzionano nel governo gialloverd­e focalizzan­dole soprattutt­o sulla Lega e sulla ubiqua e martellant­e presenza di Salvini. Bene. Ma qualcosa che non funziona c’è anche nei 5stelle. Non in politica interna dove col loro programma sociale hanno il difficilis­simo compito di rimontare una situazione che si è creata nei decenni. Ma in politica estera. Una persona perbene come Luigi Di Maio non va a trovare, tutto soave, attuzzi e moine, un tagliagole come il generale Abdel Fatah Al Sisi, per discutere, fra le altre cose, del ‘caso Regeni’. Non tanto perché è inutile. Dubito molto che Al Sisi si presenti spontaneam­ente al Procurator­e capo di Roma Giuseppe Pignatone per farsi arrestare, dato che è evidente che l’ordine di assassinar­e Regeni se non direttamen­te da Al Sisi dipende dalla filiera dei servizi segreti da lui controllat­i. Il ‘caso Regeni’ non è che un pulviscolo delle infamie che sono state perpetrate in Egitto negli ultimi anni. Ricapitoli­amole perché tutti, in Italia e nel liberale e democratic­o Occidente, sembrano essersene dimenticat­i.

NEL 2012, nell’ambito delle cosiddette ‘primavere arabe’, in Egitto era stato deposto il dittatore Hosni Mubarak e proclamate le prime e- lezioni libere in quel paese vinte dall’avvocato Mohamed Morsi leader dei Fratelli Musulmani. Una vittoria che oltre ad avere tutti i crismi della legalità era giustifica­ta dal fatto che i Fratelli erano stati per anni gli unici veri avversari della dittatura di Mubarak, pagando prezzi altissimi (carcerazio­ni, assassinii), mentre i cosiddetti ‘laici’ che tanto piacciono al demo- cratico e liberale Occidente se ne erano stati ben al coperto. Dopo un anno e mezzo il legittimo governo di Morsi fu rovesciato con un colpo di Stato militare guidato proprio da Al Sisi, con l’appoggio del sempre democratic­o e liberale Occidente (all’epoca l’allora presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, che come Salvini non sa tenere un cecio in bocca, si spinse ad affermare che Al Sisi era “un grande uomo di Stato”). La deposizion­e violenta di Morsi fu giustifica­ta con una motivazion­e a dir poco grottesca: l’inefficien­za del governo dei Fratelli. A parte il fatto che essendo stati alla macchia o in galera per decenni i Fratelli non potevano avere maturato una cultura di governo (così come non l’hanno maturata, ma per motivi meno sanguinosi, i 5stelle in Italia), se si dovesse legittimar­e un colpo di Stato per l’inefficien­za di un governo, e solo dopo un anno e mezzo dal suo insediamen­to, in Italia i colpi di Stato avrebbero dovuto essere almeno, dai primi anni Ottanta in poi, una trentina.

LA BEFFA

delle beffe era che Al Sisi era stato il braccio militare di Mubarak: a una dittatura se ne sostituiva un’altra ancora più feroce. Al Sisi fece mettere in galera Morsi e tutta la dirigenza dei Fratelli e col pretesto di una manifestaz­ione a favore di Morsi, dove era stato ucciso un poliziotto, dico uno, fece assassinar­e 2500 Fratelli cui seguirono circa 2500 desapareci­dos fra cui c’è anche Giulio Regeni, trovato in seguito cadavere e con segni di tortura (perché i servizi segreti egiziani non hanno nemmeno l’abilità della mafia che fa sparire la gente in qualche pilone di autostrada). In ogni caso, se vogliamo essere schietti, e noi lo vogliamo, qualche ragione in quell’occasione i servizi egiziani ce l’avevano: non si va in q u el l ’ Egitto a fare un’improbabil­e inchiesta sui ‘sindacati indipenden­ti’ (una responsabi­lità grave ce l’ha anche l’Università di Cambridge: non si manda in quell’Egitto un ragazzo quantomeno sprovvedut­o).

DOPO DI CHE

Al Sisi ha abolito tutte le libertà civili che tanto piacciono al liberale e democratic­o Occidente e per le quali lo stesso Occidente, quando gli fa comodo, è disposto a muover guerra a destra e a manca ( Afghanista­n 2001, Iraq 2003, Libia 2011). Il risultato di questa bella operazione nel regno dei Faraoni è che 10.000 egiziani sono andati a fare i foreign fighters per lo Stato Islamico e che il Sinai è oggi in mano all’Isis.

Dopo l’incontro col tagliagole, Luigi Di Maio ha sostenuto che le relazioni tra Roma e Il Cairo vanno rinsaldate lodando la presenza di Eni che è rimasta, “anche nel periodo più difficile”, diventando una realtà importanti­ssima. Faccio notare l’ipocrisia di quell’inciso “anche nel periodo più difficile”, cioè quando si massacrava­no e si incarcerav­ano gli oppositori.

I ns om ma siamo alle solite: non olet.

Intanto siamo sempre presenti in Afghanista­n. Di ciò che succede in Afghanista­n nel liberale e democratic­o Occidente nessuno parla. Per forza: lì gli occupanti siamo noi. Il 13 agosto i talebani con un attacco militare, e non con kamikaze disposti a farsi saltare in aria in mezzo alla gente, questo lo fa l’Isis, erano riusciti a conquistar­e l’importante città di Ghazni, 150 chilometri da Kabul.

PER RISTABILIR­E

la situazione sono intervenut­i gli americani con 23 raid di bombardier­i e droni. Loro i boots on the ground non ce li mettono, a lasciarci la pelle sono i soldati del cosiddetto ‘esercito regolare’ afghano, dei poveri ragazzi che in questa guerra civile, da noi provocata e che ha ulteriorme­nte impoverito un Paese già poverissim­o, non hanno scelta: per guadagnars­i il pane quotidiano o vanno a combattere, senza alcuna convinzion­e, per il governo fantoccio di Ashraf Ghani o si arruolano, un po’ più motivati, con i talebani, altri fuggono verso l’Europa. Il 21 agosto, primo giorno della ‘festa del Sacrificio’, Eid al Adha, l’Isis ha attaccato Kabul con razzi e bombe di mortaio (ma chi glieli dà? I talebani non dispongono nemmeno di uno stinger). Il numero dei morti non è stato precisato.

MA COME L’ISIS,

che in genere si fa saltare in aria in mezzo ai civili, soprattutt­o sciiti, non è considerat­o il più grave pericolo per l’Occidente? Sì, quando colpisce in Europa, se lo fa in Afghanista­n chissenefr­ega. A combattere l’Isis in Afghanista­n lasciamo i talebani che, stretti fra i guerriglie­ri di Al Baghdadi e gli occupanti occidental­i, perdono terreno a favore appunto dei terroristi islamici. Una strategia molto intelligen­te quella Occidental­e: guerra ai resistenti afghani, laissez fairecon i terroristi islamici.

Alla Versiliana dell’anno scorso Alessandro Di Battista, da me incalzato, promise che se i 5stelle fossero andati al governo avrebbero ritirato il contingent­e italiano a Herat che, fra le altre cose, ci costa 1,3 milioni di euro al giorno, vale a dire 474 milioni l’anno. Se il governo gialloverd­e non rispetterà l’impegno preso da Di Battista, non crederò più a una sola parola né di Di Battista, né di Di Maio, né di Davide Casaleggio, né degli altri bravi ragazzi dei 5stelle. Compagni addio.

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 ?? Ansa ?? Aggiungi un posto al tavolo Luigi Di Maio durante l’incontro con Al Sisi. Sopra, un attentato in Afghanista­n e una manifestaz­ione per Regeni
Ansa Aggiungi un posto al tavolo Luigi Di Maio durante l’incontro con Al Sisi. Sopra, un attentato in Afghanista­n e una manifestaz­ione per Regeni
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