Il Fatto Quotidiano

Altro che tregua: ambasciata italiana sotto i missili

La guerra Gli scontri fra le milizie si spostano in centro e le bombe sfiorano la sede diplomatic­a: per il Libya Times non è stato un caso

- » PIERFRANCE­SCO CURZI

Razzicontr­ol’ hotel al- Waddan, minaccia reale sull’ambasciata italiana in Libia. Tripoli, fino ad oggi unico baluardo di sicurezza in un paese in frantumi, ridotta ormai ad una polveriera. I combattime­nti tra milizie ostili si sono spostati dalle zone periferich­e fino al cuore della città, tra sedi diplomatic­he e gli alberghi frequentat­i dagli occidental­i.

I governi di Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti “condannano fermamente la continua escalation di violenza a Tripoli e nei suoi dintorni, che ha causato molte vittime e che continua a mettere in pericolo la vita di civili innocenti”.

INOLTRE NELLA NOTAsi ribadisce il “costante sostegno al piano d’azione delle Nazioni unite, come ricordato dal presidente del Consiglio di sicurezza il 6 giugno e dal rappresent­ante speciale delle Nazioni unite, Ghassan Salamé, il 16 luglio. Invitiamo tutte le parti ad astenersi da qualsiasi azione che possa mettere in pericolo il quadro politico stabilito con la mediazione dell’Onu, e pienamente sostenuto dalla comunità internazio­nale”.

Secondo il Libya Times, il missile che ha colpito l’hotel aveva come bersaglio la nostra sede diplomatic­a. Il personale dell’ambasciata ha smentito. I colpi di mortaio caduti nella mattinata di ieri hanno fatto tre feriti e provocato danni all’hotel che si trova a venti metri dall’ambasciata. Il reggente, Giuseppe Perrone, è fuori sede e a questo punto non è improbabil­e che il suo rientro venga posticipat­o. Oltre all’hotel al-Waddan, altri razzi sono caduti a ridosso di edifici governativ­i, tra cui il palazzo presidenzi­ale, gli uffici del presidente al-Sarraj. L’autori- tà governativ­a non riesce a garantire l’ordine e la sicurezza. Le tregue decretate da lunedì scorso si sono realizzate solo a parole. Gli scontri tra milizie rivali non si sono mai fermati e fino a ieri, secondo fonti ufficiali, avrebbero cau- sato oltre 40 morti, in maggioranz­a civili, e 150 feriti. Nel pomeriggio, dopo vari rifiuti e consensi, la milizia principalm­ente coinvolta, la Settima Brigata di Tarhouna, centro a sud di Tripoli, ha aderito alla terza tregua in quattro giorni, nonostante colpi di artiglieri­a siano stati sentiti in varie zone della città anche dopo l’annuncio del cessate-il-fuoco.

IL GRUPPO MILITAREce­rca di guadagnare territorio e pezzi di città, dopo aver preso il controllo della parte sud-orientale. Il continuo tira e molla, tra tregue e ostilità, è dettato anche dalla rivendicaz­io- ne successiva all’attacco aereo governativ­o alla sua roccaforte subìto tre giorni fa. Di contro, oltre all’apparato militare fedele al governo, c’è la milizia al-Bugra (la mucca in arabo), la stessa che otto mesi ha attaccato l’aeroporto Mi- tiga provocando 11 morti e 37 feriti. Aeroporto nel mirino anche venerdì sera. I voli da e per Mitiga sono stati di nuovo interrotti e dirottati su Misurata, 200 km a est. I combattime­nti, infatti, hanno raggiunto anche lo scalo, dove passeggeri e personale di volo sono stati evacuati. Con l’aeroporto off limits e la città insicura, cambiano i piani e le strategie delle organizzaz­ioni internazio­nali che si occupano di solidariet­à e di sostegno alle migrazioni.

L’agenzia italiana per la cooperazio­ne e lo sviluppo, Aics, era pronta a far partire acqua e cibo per le migliaia di migranti stivati nei centri di detenzione per ora considerat­i sicuri. Missione cancellata all’ultimo momento, se ne occuperà il World Food Program. Per tre giorni i prigionier­i erano rimasti senza beni di conforto dopo la fuga delle guardie.

Aics aveva raccolto ingenti scorte da trasferire nelle prigioni dove i vertici del Dcim, il ministero libico dell’immigrazio­ne, non riescono più a gestire la situazione. Due dei centri ‘ufficiali’, Ein Zara-Salahdin e Trik al-Matar, sono stati chiusi dopo che guardie e personale erano fuggite prima di finire nel tiro incrociato delle milizie. Il convoglio di aiuti doveva partire da Tunisi per poi arrivare a Tripoli attraverso Misurata. Obiettivo principale il centro di detenzione di Trik al-Sikka: “Siamo al collasso. Gli spazi sono insufficie­nti, ci sono oltre 2.000 migranti ammassati uno sopra l’altro” denuncia un dirigente del campo che si trova ad un chilometro dall’ambasciata italiana.

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LaPresse Colpo in canna Quel che resta dopo uno scontro a fuoco a Zliten

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