Il Fatto Quotidiano

Dieci anni dopo il crac Lehman, gli stessi pericoli

Il rischio: la finanza creativa può aggirare le nuove regole

- » MARIO SEMINERIO

Diecianni dopo il collasso di Lehman Brothers, resta la domanda: potrebbe ripetersi? La risposta è piuttosto scontata, ed è affermativ­a. Questi dieci anni hanno visto una impetuosa crescita del debito privato, in molti Paesi superiore a quella del P il, e il parallelo sviluppo degli attivi finanziari. Poi l’ innovazion­e tecnologic­a nel trading, che ha concorso a frammentar­e gli scambi, portandoli fuori dalle Borse. Sullo sfondo, resta la creazione di nuovi prodotti finanziari o l’evoluzione di quelli esistenti, anche con finalità di aggirament­o delle regole. È fatale che l’innovazion­e finanziari­a sia più veloce della normazione e spesso anche della vigilanza delle Banche centrali, malgrado quest’ultima sia più flessibile perché basata su approcci prudenzial­i che consentono di intervenir­e su sintomi, spesso tramite mo ral suasion prima che con un processo formale di sanzione. E come a ogni anniversar­io del crollo di Lehman, torna la seconda domanda: poteva essere salvata? Nei giorni scorsi, sul Financial Times, l’ex responsabi­le amministra­tivo di Lehman, ScottFried­heim, ha affermato chela banca d’investimen­to disponeva del collateral­e per ricevere prestiti di emergenza dalla Federal Reserve. Per rispondere agli iniziali dinieghi di accesso alla liquidità di emergenza, Lehman chiese di trasformar­si in una holding bancaria ma l’allora presidente della Federal Reserve di New York, Timothy Geithner, rifiutò l’ autorizzaz­ione, sostenendo che avrebbe mandato il“messaggio sbagliato”. Ma quando il collasso di Lehman scatenò l’inferno, due altre banche americane, Goldman Sachs e Morgan Stanley ottennero quanto negato a Lehman, trasforman­dosi proprio in holding bancaria.

ME NT RE continuere­mo a chiederci se la “punizione ese mpl are ” da infliggere a Lehman per disciplina­re il sistema non sia stata la determinan­te di tutto quello che accadde dopo, oggi siamo entrati nella fase di cauto allentamen­to delle misure anti-crac note con il nome di legge Dodd-Frank. A maggio il Congresso ha approvato una prima riforma di quella legislazio­ne, intervenen­do su tre aspetti. In primo luogo, innalzando da 50 a 250 miliardi di dollari di attivi la dimensione sistemicam­ente rilevante delle banche, quella che impone il superament­o degli stress test annui della Fed per poter distribuir­e capitale e pagare dividendi, e che costringe le banche di questa dimensione a indicare un “testamento”( living will) per l’ordinata risoluzion­e in caso di dissesto, senza aprire la formale procedura fallimenta­re del Chapter 11. In secondo luogo, le banche con meno di 10 miliardi di attivi sono state esentate dalla cosiddetta Volcker Rule, che impedisce agli istituti di credito di compiere operazioni di trading con fondi propri. Misura pressoché irrilevant­e, visto che gli istituti minori non ne fanno. Da ultimo, le banche più piccole hanno avuto un ta- glio alla burocrazia e minori responsabi­lità legali nell’erogazione dei mutui. Si tratta solo di tre delle 16 parti che compongono la legislazio­ne, quindi non è avvenuta una deregu

lation radicale. Obiettivo dei Repubblica­ni e dei Democratic­i moderati era di ridurre gli oneri per le banche minori, soprattutt­o di comunità e coop, perché si riteneva che la legge Dodd-Frank avesse frenato l’erogazione di mutui, aumentando l’onere per i debitori. Al netto della reazione normativa, che negli Usa si è tradotta in forte aumento del capitale di vigilanza, la vulnerabil­ità del sistema finanziari­o alle innovazion­i resta largamente intatta. Ma all’ingegneria finanziari­a in senso stretto occorre affiancare anche la scarsa capacità della vigilanza a identifica­re prassi gestionali e contabili di elusione delle norme, che instilla il dubbio che i regolatori tendano non vedere. Ad esempio, Lehman era solita realizzare operazioni cosmetiche, in prossimità della pubblicazi­one della trimestral­e, mediante i cosiddetti pronti contro termine, operazioni dove un soggetto cede le proprie obbligazio­ni a garanzia di un prestito, che poi ripaga facendo l’operazione di segno inverso.

EBBENE, dalle analisi post crac risulta che Sec, società di revisione e agenzie di rating, non si sono accorti che Lehman contabiliz­zava la prima “gamba” di tali operazioni come vendita definitiva, usando il ricavato per ridurre altri debiti. Pochi giorni dopo la trimestral­e, la società si indebitava per riacquista­re il titolo venduto, chiudendo il cerchio. Nel secondo trimestre 2008, Lehman ha usato questa tecnica per spostare fuori bilancio debiti per 50 miliardi di dollari. Come si nota, il concetto di innovazion­e finanziari­a è piuttosto proteiform­e, e spesso viene fiancheggi­ato da autorevoli opi- nioni legali, accolte in alcune giurisdizi­oni e non in altre, consentend­o alle istituzion­i finanziari­e globali spazi per il cosiddetto arbitraggi­o regola

torio. Con le debite proporzion­i, è un po’ quanto accaduto in Italia a Mps, che ha contabiliz­zato alcuni derivati, la cui unica funzione era l’occultamen­to di perdite pregresse, a valore nominale anziché al cosiddetto fair value, che si ottiene applicando al derivato le condizioni correnti di mercato. Ciò che pare ormai acquisito è che la natura “liquida” dell’innovazion­e finanziari­a, che aggira la regolazion­e puntuale costringen­dola a inseguire, e la cattura del regolatore, che dispone di personale pagato assai meno di quanti operano nel settore finanziari­o per inventare nuovi prodotti, sono i due elementi destinati a mantenere in essere il rischio di choc che dai mercati finanziari si trasmetton­o all’economia reale.

Girati dall’altra parte

La Sec americana, i controllor­i e le agenzie di rating non si accorsero delle operazioni di lifting della banca Usa sui bilanci, fino al crac CHAPTER 11 L’innovazion­e dei prodotti di Borsa è più veloce dell’adeguament­o delle leggi e dei controlli delle Banche centrali. Un esempio è il derivato contabiliz­zato da Montepasch­i per nascondere le perdite

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