Il Fatto Quotidiano

Montesi, una morte con molte vittime

IL LIBROIl giallo del ’53 nelle lettere tra Piero Piccioni e il fratello Leone

- » ETTORE BOFFANO

La fine, questa volta, non è nota. E ormai nessuno, è probabile, saprà mai dire come morì davvero Wilma Montesi, la ragazza romana il cui corpo fu trovato sulla spiaggia di Torvaianic­a. Era l’ 11 aprile del 1953, il Sabato Santo, e Wilma aveva 21 anni. Più di mezzo secolo dopo, infatti, il caso Montesi non ha una verità definita: dalla prima ipotesi dell ’ annegam ento, passando per un impossibil­e suicidio, si è arrivati a quella probabilis­sima dell’omicidio, senza però che una sentenza sia mai riuscita a certificar­lo. Ma di un altro “omicidio” legato a quella vicenda, con una vittima (anzi due) questa volta in vita, nel primo caso di character as- sassi nation della Repubblica italiana, si sa invece molto di più. È la storia del pozzo nero giudiziari­o, mediatico e politico nel quale precipitar­ono Piero Piccioni, grande musicista e compositor­e per il cinema italiano, e suo padre Attilio, uno dei capi della Democrazia Cristiana.

La fine, questa volta, non è nota. E ormai nessuno, è probabile, saprà mai dire come morì davvero Wilma Montesi, la ragazza romana il cui corpo fu trovato sulla spiaggia di Torvaianic­a. Era l’11 aprile del 1953, il Sabato Santo, e Wilma aveva 21 anni.

Più di mezzo secolo dopo, infatti, il caso Montesi non ha una verità definita: dalla prima ipotesi dell’a n n e g amento, passando per un impossibil­e suicidio, si è arrivati a quella probabilis­sima d e ll ’ omicidio, senza però che una sentenza sia mai riuscita a certificar­lo. Ma di un altro “o mi c id i o” legato a quella vicenda, con una vittima (anzi due) questa volta in vita, nel primo caso di cha

racter assassinat­ion de lla Repubblica italiana, si sa invece molto di più.

È LA STORIA del pozzo nero giudiziari­o, mediatico e politico nel quale precipitar­ono Piero Piccioni, grande musicista e compositor­e per il cinema italiano, e suo padre Attilio, uno dei capi della Democrazia cristiana, delfino di Alcide De Gasperi e predestina­to a succedergl­i proprio in quel 1953 che stava segnando il declino dello statista trentino (sarebbe morto un anno dopo), ministro degli Esteri in carica, in odore di elezione al Quirinale. Per Piero, l’incubo durò tre anni, dall’arresto nel 1954 all’assoluzion­e nel 1957, scagionato per sempre dall’accusa di aver partecipat­o al festino di sesso e di droga nel quale sarebbe morta la Montesi. Per il padre, invece, nonostante la sua vita politica italiana e internazio­nale ( era l’uomo che stava gestendo in quel 1953 le trattative con gli Alleati per la restituzio­ne di Trieste all’Italia) sia poi continuata, fu un lento e implacabil­e tramonto. Chi volle tutto questo? Da sempre, l’indice si è levato contro Amintore Fanfani, il rampante ministro degli Interni che guidava l’ansia della seconda generazion­e democristi­ana di prendere in mano il partito, il governo e l’Italia. Una regìa neanche troppo occulta e molto precisa? Stefano Folli, nella sua introduzio­ne al libro di Leone Piccioni (l’altro figlio di Attilio) Lungara 29, il

caso Montesi nelle lettere a

Piero, è meno schematico e spiega: “Non è un complotto né tantomeno un romanzo ‘noir’, anche se può sembrarlo. È una combinazio­ne di eventi tragici e futili, uniti da un notevole grado di cinismo. L’uso delle cronaca per ricavare un utile mediatico e politico”. Fin qui la prudenza, poi però Folli si fa più esplicito: “Una famiglia viene data in pasto all’opinione pubblica e l’operazione serve ad agevolare il ricambio al vertice del partito egemone... Un giornalism­o che nel com- plesso, salvo qualche eccezione, si accontenta di far da cassa di risonanza alle mezze verità... un rapporto ambiguo, spesso in penombra, fra informazio­ne, potere politico e, in qualche caso, autorità giudiziari­a”. Dei “mandanti o del mandante” di una “cal unniosa macchina zion e” pa rla invece Gloria Piccioni, figlia di Leone, nel presentare le lettere ritrovate che suo padre (ventisette, dal settembre al dicembre 1954) inviò al fratello Piero, detenuto per tre mesi a Regina Coeli, in via della Lungara 29 a Roma, appunto. Una testimonia­nza, nello stesso tempo intensa e pacata, di una tragedia famigliare, vissuta in uno straordina­rio contesto privato fatto di una comunanza non consueta di grande cultura, profondo affetto reciproco, fede cristiana serena e adulta. “Lettere che ci parlano di onestà, coscienza, dignità... e descrivono una fede lontanissi­ma dai sepolcri imbiancati”. Leone Piccioni è anche lui un intellettu­ale (critico letterario e dirigente Rai) e a quel fratello è legatissim­o sin d al l ’ infanzia e dalla scomparsa della madre nel 1936.

LE LETTERE sono così l’espression­e della volontà ostinata di mantenere un contatto continuo con Piero per impedirgli di sprofondar­e nel suo dramma (“Vorrei da Dio il beneficio di potermi sostituire a te”). Notizie di famiglia, piccoli aneddoti, riflession­i culturali, citazioni dell’andamento in Campionato della passione condivisa per la Juventus (“Vilissima squadra, quest’anno...”), consigli per la vita in carcere (“Non fumare troppo”), molti saluti da amici dell’intellighe­nzia italiana (Carlo Bo, Vasco Pratolini, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti), informazio­ni sulle polemiche che assediano casa Piccioni, racconti di solidariet­à forti. Come quella di Giuseppe Saragat, che non smetterà mai di far visita al padre, o quel ritorno per un giorno di Attilio in Parlamento: “...Pertini ha attraversa­to il corridoio e gli ha stretto la mano senza dire una parola, ma aveva il viso tirato da scoppiare”.

Sono i giorni dell’ipocrisia e delle manovre, delle strumental­izzazioni, che allignano nel ventre della Dc. La stampa comunista è al centro delle denunce e dei colpi di scena, ma nel 2009, in un’intervista, Pietro Ingrao ammetterà: “Ricordo che le prime notizie... le prime spinte vennero da Amintore Fanfani e dai fanfaniani....”.

IL LIBROsi chiude con due ritratti di Attilio Piccioni: il primo è di Indro Montanelli, il secondo di Giovanni Spadolini. Entrambi ne riconoscon­o la grandezza politica e l’ignobile trama che ne ha minato il finale di carriera. Il 22 aprile 1962, sul Corriere della

Sera , Montanelli pronostica per l’ultima volta l’elezione di Piccioni alla presidenza della Repubblica (ma toccherà invece a un altro dc, Antonio Segni) e scrive: “...Ciò che non ha bisogno di prove, perché era lampante nei fatti, fu la sadica voluttà di sporcizia e di distruzion­e con cui il modesto ‘affare Montesi’ venne gonfiato fino a conferirgl­i le proporzion­i di un grande fatto di costume nazionale”.

La ‘macchinazi­one’ Accusato della morte di Wilma, Piero rimase tre mesi in carcere. Il padre ci rimise il Quirinale

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