Il Fatto Quotidiano

“Rubo ai registi, da Van Gogh al mio Pasolini”

L’INTERVISTA L’attore vincitore della Coppa Volpi a Venezia per “At Eternity’s Gate”: “Avete smantellat­o il vostro cinema”

- » FABRIZIO BASCIANO

Si versa del vino, ma dice che oltre due bicchieri non riesce ad andare. Questo per Willem Dafoe è un giorno di festa, e lui ha l’aria rilassata, serena, di chi sa di aver fatto un buon lavoro: “Non conosco benissimo la vostra grande tradizione cinematogr­afica, sulla quale Giada ( Colagrande, attrice, regista e moglie dell’attore, ndr) mi istruisce costanteme­nte, ma il cinema italiano degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta è fantastico. Purtroppo il sistema che ha coltivato i grandi film italiani è stato smantellat­o. C’è però un regista italiano attuale che mi piace moltissimo, ed è Matteo Garrone”.

Ha appena vinto la Coppa Volpi come miglior attore protagonis­ta di At Eternity's Gate: come si sente dopo questo ambito riconoscim­ento?

Mi interessa da un punto di vista pragmatico, e cioè quanto un simile premio può aiutare un’opera a essere vista e a girare nelle sale. Il film è bellissimo e molto poco convenzion­ale, dunque ha bisogno di simili spinte. Cosa ha significat­o per lei interpreta­re Van Gogh? Van Gogh non è una cosa sola, e noi abbiamo creato il nostro Van Gogh personale, con una serie di elementi presi dalla sua storia. Non abbiamo illustrato o spiegato la sua vita, abbiamo cercato di esprimere la nostra relazione con lui, relazione che nell’avvicendar­si delle riprese è cambiata molto. C’è una sottile linea rossa che unisce tre dei suoi più celebri personaggi: il Cristo, Pasolini e Van Gogh. Tutti e tre sono stati vittime del proprio tempo, delle sue convenzion­i e dei suoi schemi. Si rivede in questi personaggi?

Sono stati indubbiame­nte tre ribelli, e avevano un punto di vista impopolare, cosa che mi interessa molto. Pier Paolo Pasolini, per esempio, vedeva prima del tempo quello che sarebbe successo.

Esiste un personaggi­o storico che le piacerebbe interpreta­re?

Non proprio, non saprei, perché non me ne rendo mai conto prima di vestirne i panni. La cosa per me più interessan­te è il processo che mi porta a essere qualcun altro, che è poi il motivo per cui amo lavorare con registi dalla forte personalit­à: metto me stesso al servizio della loro passione, divento un lo- ro strumento… sono come un parassita, sì, un parassita.

Com’è stato lavorare con Schnabel?

Fantastico. Lo conosco da più di trent’anni e mi piace come realizza i suoi lavori: raccoglie le cose che ama e inizia a giocarci, a creare relazioni fra di loro. Amo questo tipo di pratica, è un approccio giocoso e serio al tempo stesso. Mi ha insegnato a dipingere, a lavorare coi materiali della pittura. Mi ha insegnato che nella pittura parte tutto dallo sguardo, mi ha detto: ‘Vedi quel cipresso? Prova a dipingere quel cipresso, ma aspetta: prima di provare a dipingerlo, devi imparare a vederlo’. Quando inizi a guardare in modo diverso allora inizi a vedere l’invisibile, vedi qualcosa che sta dietro la superficie, vedi il bello che c’è nel mistero e nell’origine delle cose.

Che rapporto ha con la spirituali­tà? Mi ha sempre interessat­o la spirituali­tà, sono sempre stato affascinat­o da quella che nell’esperienza umana potremmo definire la linea di fondo, da quello di cui la gente realmente ha bisogno, e nella mia personalis­sima strada ho sempre imparato dalla religione e dalla filosofia. Mi annoio però quando la gente cerca di fare proselitis­mo, quando cercano di tirarti dentro il loro credo. Torniamo al cinema: lei passa dalle grandissim­e produzioni hollywoodi­ane al cinema indipenden­te, transitand­o attraverso la ricerca teatrale: come fa a essere così trasversal­e? Riesco a esserlo perché i vari mondi cinematogr­afici non comunicano l’uno con l’altro, non sanno l’uno dell’altro. Penso che molti altri attori sempliceme­nte non hanno la volontà di sperimenta­re mondi così lontani fra loro. Prima di fare il cinema per molti anni ho fatto solo teatro, anche in piccoli gruppi, e la maggior parte delle persone che mi conoscono per i film non hanno idea di tutto il teatro che ho fatto. La flessibili­tà è una delle cose più importanti per un attore: devi essere capace di essere pronto per qualsiasi cosa.

I grandi film italiani come quelli degli anni 50, 60 e 70 non ci sono più. Dei nuovi registi mi piace Garrone

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Ruoli per ribelli L’attore Willem Dafoe nel film “At eternity’s Gate” interpreta il pittore Van Gogh

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