Sotto il fazzoletto
Magari è soltanto colpa di un funzionario di Polizia ignorante, zelante, servile e ansioso di guadagnare “meriti” agli occhi del suo capo o Capitano: il ministro dell’Interno. Ma, anche se è soltanto questo, e non il frutto di precise direttive dall’alto, è bene dire chiaro e tondo che quanto è accaduto sabato scorso a Venezia è vergognoso e oltraggioso: Ottavia Piccolo è stata fermata dalla Polizia alla mostra del Cinema, poche ore prima della cerimonia di premiazione del Leone d’oro, perché portava al collo il fazzoletto dell’Anpi, l’associazione dei partigiani d’Italia. E quel vessillo non era neppure legato a una battaglia politica di questo o quel partito – peraltro perfettamente legittima (contro l’Anpi già si scagliarono, oltre ai berluscones, anche la Boschi e vari renziani ai tempi del referendum costituzionale) –, ma al presidio organizzato lì vicino da una serie di associazioni per denunciare la piaga degli infortuni e delle morti bianche sul lavoro. “Un tema gravissimo e serio di cui troppo poco si parla”, ha spiegato l’attrice: “L’iniziativa era stata autorizzata, a una certa distanza dal tappeto rosso. Era tutto in regola. Nessuno pensava di creare disturbi o disagi. Sono arrivata presto e ho deciso di entrare al Palazzo del Cinema. Ai controlli di sicurezza sono stata fermata da un giovane funzionario della polizia di Stato. Pensavo volesse solo controllare la borsa, invece mi ha vietato di entrare. Indicava il mio collo. Lì per lì non riuscivo a capire. Mi hanno detto che non potevo entrare con quel fazzoletto. Ho spiegato che era il fazzoletto dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, a cui sono iscritta. Ho chiesto se conoscevano l’Anpi e cosa rappresenta. Niente da fare. Non mi facevano passare con quel fazzoletto. Continuavano a ripetermi che dovevano controllare. Ero basita, poi mi sono indignata: sono una cittadina libera e orgogliosa di indossare il fazzoletto dell’Anpi. Finalmente un’altra funzionaria è intervenuta e dopo un po’mi han dato il via libera. Se non ci fosse da piangere per il nostro Paese, ci riderei su. Probabilmente anche la polizia è vittima spaventata di questo clima molto poco accogliente, violento e rabbioso”.
Torna in mente quel che accadeva negli anni bui di B., quando a Piero Ricca – noto contestatore milanese del Caimano – veniva applicato un Daspo preventivo (e illegale) perché non si avvicinasse ai comizi e ai raduni di Forza Italia. Episodi del genere alimentano non solo qui, ma anche all’estero, quella descrizione macchiettistica e superficiale dell’Italia governata dai “populisti” e dunque in preda a orde barbariche e squadracce fasciste dedite alle peggiori nefandezze.
Èla
leggenda nera che ha indotto il neocommissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet a inviare ispettori in Italia e in Austria “per valutare il riferito forte incremento di atti di violenza e di razzismo contro migranti, persone di discendenza africana e Rom”. Una mossa che ha offerto il destro a Salvini di ricordarle che “l’Italia negli ultimi anni ha accolto 700 mila immigrati, molti dei quali clandestini, e non ha mai ricevuto collaborazione dagli altri Paesi europei” e “non accetta lezioni da nessuno, tantomeno dall’Onu”, dove siedono impunemente Stati che “ignorano diritti elementari come la libertà e la parità tra uomo e donna”. E al ministro degli Esteri Moavero di rammentare alla gentile signora “che l’Italia è ormai da anni impegnata in prima linea nel salvataggio e nell’accoglienza delle persone che tentano la traversata nel Mediterraneo, impiegando più fondi e risorse di qualsiasi altro Paese”, oltre alle “azioni concrete di sostegno ai Paesi di origine e di transito dei migranti, con progetti di cooperazione e di assistenza in svariati settori”. Se non fosse un felpato diplomatico, Moavero potrebbe aggiungere qualche promemoria sui nostri accoglienti vicini di casa: non solo il truce Orbán e i suoi degni compari del fronte Visegrad, ma anche i democraticissimi spagnoli che, dai tempi di Zapatero, usano di tanto in tanto sparare a vista sui migranti nelle loro enclave marocchine di Ceuta e Melilla, senza ricevere né reprimende visite dell’Onu; o i civilissimi e generosissimi francesi, che sotto la presidenza Macron si sono distinti per aver incriminato un cittadino che accompagnava in auto una migrante incinta e respinto con le maniere forti aspiranti profughi alle frontiere di Ventimiglia e Bardonecchia, anche con sconfinamenti e scorribande dei loro gendarmi in territorio italiano, il tutto senza nemmeno un rabbuffo dalle Nazioni Unite.
Ma ciascuno deve guardare in casa propria. E non possiamo dimenticare la macelleria messicana che si scatenò al G8 di Genova nel 2001 non appena il centrodestra approdò al Viminale, per non parlare dei vari casi Cucchi, Aldrovandi, Uva e molti altri simili. Ora la “mano libera alle forze dell’ordine” annunciata da Salvini per “fare pulizia” può indurre in tentazione non solo le tante teste calde che albergano nella popolazione, soprattutto nelle periferie urbane, ma anche qualche settore particolarmente esagitato della Polizia. Perciò l’episodio di Venezia deve suonare come un campanello di allarme per un prefetto certamente democratico come Franco Gabrielli. Ottavia Piccolo, con la sua meravigliosa intransigenza mista a grazia, l’ha commentato così: “Se non fosse preoccupante per l’Italia, quel che mi è accaduto sfiorerebbe il ridicolo. Ma in che paese viviamo?”. La migliore risposta è che il funzionario allergico al fazzoletto dell’Anpi sia subito individuato e punito con la peggiore delle sanzioni: non la sospensione o la rimozione, che ne farebbe un martire; ma un corso accelerato di storia della Resistenza antifascista, su cui si fonda la Costituzione che ciascun poliziotto ha il dovere di difendere, non di tradire.