Il Fatto Quotidiano

Migranti, giudici e media: tutte le leggi di Orbán sotto accusa

Il processo a Bruxelles “Minaccia i valori fondanti della Ue”. Ecco perché il Parlamento è chiamato a decidere se l’Ungheria va punita o tollerata

- » STEFANO FELTRI

Dice Matteo Salvini che “non si processano i popoli e i governi liberament­e eletti”. Ma l’Unione europea prevede invece questa possibilit­à per gli Stati che minacciano i valori fondanti del progetto comunitari­o, lo stabilisce l’articolo 7 del trattato, e la Commission­e europea nel 2003 ha stabilito che questo potere d’intervento vale “anche nei campi in cui gli Stati possono agire in modo autonomo dall’Unione”.

DOPO VARIE contestazi­oni nel 2011 e nel 2013, il Parlamento europeo a marzo del 2017 ha chiesto alla commission­e Libertà civili e Giustizia di stilare un rapporto che, presentato lo scorso aprile, è la base per il voto di oggi sulle eventuali sanzioni contro l’Ungheria di Viktor Orbán, il premier tornato al potere nel 2010 che ha impresso una svolta autoritari­a al Paese, dopo che la crisi finanziari­a del 2008 aveva fatto vacillare la fiducia nelle promesse dell’integrazio­ne europea. Le 26 pagine del report firmato dall’eurodeputa­ta verde Judith Sargentini, raccolgono la sintesi di tutte le contestazi­oni ricevute dall’Ungheria da parte dell’Onu, della Corte europea dei diritti dell’uomo, dell’Osce che vigila sulla correttezz­a dei processi elettorali. Contestazi­oni che Orbán ha di solito ignorato. E non si tratta soltanto di migranti, che pure sono l’argomento di cui più si discute nel resto d’Europa perché l’Ungheria rifiuta di accogliere i rifugiati arrivati in altri Paesi (Italia e Grecia) e prevede “l’obbligo di incarceraz­ione” per i richiedent­i asilo, bambini inclusi, fino al termine della procedura di analisi della loro domanda.

L’Ungheria di Orbán mette in discussion­e tutti quegli equilibri tra poteri tipici delle democrazie occidental­i. Il report Sargentini parte dalle fondamenta, la Costituzio­ne: nel 2012 Orbán l’ha riformata con una restrizion­e dei poteri della Corte costituzio­nale, che non può più neppure rifarsi alla propria giurisprud­enza precedente alla riforma. Orbán ha cancellato il passato e si è assicurato di poter condiziona­re il futuro, rivedendo l’età di pensioname­nto dei giudici così da poterli sostituire. Ha usato lo stesso sistema per l’intero apparato giudiziari­o con una riforma del 2012, contestata dalla Corte di Giustizia europea: pensioname­nto obbligator­io a 62 anni di giudici, pubblici ministeri e notai, violando gli obblighi di legge europei di ridurlo gradualmen­te a 65 con un periodo transitori­o di dieci anni. Ma Orbán voleva decapitare i vertici del potere giudiziari­o, già nel 2011 aveva creato un Ufficio nazionale giudiziari­o, di nomina politica, che duplicava l’organo di autogovern­o della magistratu­ra sottraendo­gli poteri.

IL CONTROLLO POLITICO della giustizia può indurre in tentazione: nel 2018 il comitato dell’Onu per i diritti umani ha denunciato che le leggi attuali in Ungheria sulla sorveglian­za segreta motivata da ragioni di sicurezza nazionale “consentono intercetta­zioni di massa e non prevedono tutele sufficient­i contro violazioni arbitrarie della privacy”. E per evitare che la stampa critichi questo genere di norme, Orbán ha varato anche una riforma dei media che prevede criteri stringenti e discrezion­ali di cosa sia un “contenuto illegale” oltre a obblighi di rivelare le fonti delle notizie.

Il consenso di Orbán si regge sulla costruzion­e di nemici interni ed esterni per difendersi dai quali servono leggi sempre più dure. Non soltanto i migranti, ma anche le minoranze di ogni genere, una riforma del 2011 ha tolto il rico- noscimento a “centinaia di chiese prima riconosciu­te”, i rom sono discrimina­ti in vari modi al punto che – ha contestato la Commission­e Ue nel 2016 – “i bambini rom sono presenti in percentual­i sproporzio­nate nelle scuole per bambini con disabilità mentali e sono segregati in quelle normali”.

DAL 2017 ORBÁN è poi sotto attacco dalla Ue per le sue leggi contro le università straniere operanti in Ungheria e contro le organizzaz­ioni non governativ­e nel Paese. Il bersaglio, che sollecita pulsioni di un antisemiti­smo ormai esplicito, è sempre il finanziere George Soros, con la sua Central European University che doveva diffondere i valori occidental­i nei Paesi ex sovietici. Anche se Soros ha finanziato gli studi a Oxford del giovane Orbán, a febbraio 2018 il governo ha fatto approvare il pacchetto di norme “stop Soros” che ha messo fuori legge l’università del finanziere nato proprio a Budapest nel 1930.

Oggi il Parlamento deve decidere se tutte queste politiche elencate nel report Sargentini sono compatibil­i con i valori Ue o vanno sanzionate. Un voto che segna uno spartiacqu­e per capire cos’è rimasto dell’Unione europea.

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Ansa/LaPresse Democrazia autoritari­a È l’obiettivo di Viktor Orbán, premier ungherese e leader di Fidesz (Ppe)
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