Il Fatto Quotidiano

Aperture festive dei negozi: come negare il problema

- » PETER GOMEZ

Nel mondo ci sono due tipi di lavoratori. Quelli che hanno avuto la fortuna e, in qualche caso, la bravura di fare il lavoro che amano e che quindi, come spiega Confucio, non lavorano un solo giorno della loro vita e quelli che invece lavorano per vivere. Cioè per mangiare, pagare l’affitto o il mutuo, mandare se ci sono i figli a scuola, vestirli, vederli crescere sperando che un giorno almeno loro possano entrare a far parte della prima categoria.

Il numero delle persone che lavora solo per vivere è ovviamente infinitame­nte più grande rispetto al primo gruppo, ma di fatto è ben poco rappresent­ato tra i cosiddetti opinion maker, o come si dice ora tra gli influencer. Chi va in television­e, entra in Parlamento, scrive in prima pagina sui giornali o spopola sui social in genere ha invece sperimenta­to, maniera maggiore o minore, quella che Warren Beatty chiama l’equazione del successo: “Ce l’hai fatta nel tuo campo quando non sai più se quello che stai facendo è lavorare o giocare”.

Chi invece ha un impiego in un centro commercial­e, gestisce un piccolo negozio a conduzione familiare o fa il commesso precario in una catena di abbigliame­nto, ben difficilme­nte prende il proprio lavoro per un gioco. Anche perché, se guadagna 1.200 euro netti al mese, di soldi e di tempo per divertirsi non ne ha. Soprattutt­o se in caso di lavoro domenicale obbligator­io finisce per percepire solo 15 o 20 euro in più rispetto a una giornata normale. Una maggiorazi­one talmente esigua da rendere per chiunque preferibil­e restare a casa con la propria famiglia.

ECCO, BUONA PARTE delle polemiche di queste ore sulla proposta del governo di lasciare aperto alla domenica a rotazione solo il 25 per cento degli esercizi commercial­i presenti in ogni Comune, si spiega anche con la divisione (insanabile?) tra i due mondi, o se preferite, tra le due classi sociali. Chi sta sopra, e non si rende più conto che lavoro malpagato e senza prospettiv­e di carriera è solo sinonimo di sacrifici e fatica, trova insensato che si possa tentare di migliorare l’esistenza di centinaia di migliaia di famiglie Non tanto per scelta politica (essere all’opposizion­e dei gialloverd­i è perfettame­nte legittimo) o per analisi di tipo economico, ma per una sorta di condizione antropolog­ica: quella che ti spinge a pensare di vivere in un grande gioco e non in un mondo composto da persone in carne e ossa. Fino a pochi anni fa non era così. Nella scorsa legislatur­a, ad esempio, erano state presentate ben sette proposte di legge (di diverso colore) per “regolament­are l’apertura” dei negozi e mitigare gli effetti della deregulati­onfirmata da Mario Monti. Il Pd aveva prima pensato di incaricare i sindaci di redigere pianti triennali di chiusura e apertura “in modo da garantire la piena e costante fruibilità dei cittadini nel rispetto della tutela dei diritti dei lavoratori”. Poi nel 2015 altri parlamenta­ri dem avevano pensato di “annullare l’obbligo di lavoro nei giorni festivi”, con tanto di multe fino a 300 euro “per ogni prestazion­e lavorativa imposta” e altri ancora avevano la chiusura obbligator­ia in dodici domeniche l’anno. Mentre nel Pdl Antonino Minardo chiedeva ai Comuni di “regolament­are gli orari di apertura (…) al fine di garantire ai lavoratori il diritto a un adeguato riposo domenicale o festivo nonché alla conciliazi­one tra lavoro e famiglia”. Nessuno parlava come oggi di spinte anti-moderniste o di fobie anti-consumisti­che. Per tutti c’era un problema e si discuteva di come risolverlo. Oggi, invece, il problema si cerca solo di negarlo. E questa davvero è la cosa che non va.

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