Crac Lehman, quando l’élite spazzò via la classe media
anni che somigliano a una corsa sull’ottovolante: si provano emozioni forti, si annusa la paura. Poi il carrello rallenta, la corsa è finita. Guardi l’orologio e non è più il 2008 ma il 2018, eppure ci sono certe risonanze inaspettate. Un decennio fa esplodeva l’America, in questo caso non per una guerra o per il peggiore degli attentati. Anzi, mentre volgeva al termine il secondo mandato di George W. Bush e la psicologia collettiva trovava finalmente sollievo dallo choc dell’11 settembre, si sarebbe detto, che le cose marciassero nella direzione giusta. Che per una famiglia della middle class voleva dire soprattutto lavoro soddisfacente, una bella casa e un gruzzolo per sostenere il peso degli studi dei figli, preparandosi a una vecchiaia serena. Dunque si sta parlando di soldi, senza troppi giri di parole. È il quadro americano sul quale s’abbatte la crisi del 2008. Inattesa e incomprensibile. Perché i presagi non erano facili da cogliere e, soprattutto, erano ingannevoli. E perché l’allegria governativa di Washington aveva avallato lo stato delle cose, consentendo che le tessere del disastro si sistemassero al loro posto.
Celebrazioni senza pentimenti
dei debiti senza neanche una fune con cui tentare la risalita.
Le cronache puntualizzano che all’origine della caduta va messa la condotta della Federal Reserve, la Banca centrale degli Usa, e lo storico delle sue decisioni su quei tassi d’interesse che regolano la politica dei prestiti bancari. Perché per smuovere l’economia è indispensabile abbassare i tassi: solo così le banche chiederanno più soldi e a loro volta li presteranno a gente ansiosa d’investirli in acquisti magari collocati al di sopra delle proprie possibilità, d’improvviso raggiungibili appunto grazie alla facilità d’accesso a questi prestiti. In quel momento, poiché i tassi erano bassissimi e quindi i guadagni assai limitati, le banche cominciarono a prestare soldi a chiunque ne facesse richiesta, anche in assenza di garanzie attendibili. Le banche assunsero dei rischi superiori al lecito, perché la priorità era generare una massa di movimenti sufficienti a garantire utili decenti.
Il sistema si blocca e crolla tutto
Ecco allora che si gonfia a dismisura la bolla dei mutui subprime (quelli di qualità non “pri maria ”, dal momento che l’affidabilità del contraente è incerta): comprare una casa non è mai stato facile come in quei giorni. Il mercato immobiliare prospera, c’è da fare soldi seri. E tutto pare girare a meraviglia. Salvo che. Il congegno va in panne allorché la Federal Reserve interviene per rialzare i tassi: i mutui a tasso variabile, gran parte di quelli stipulati per l’acquisto di case, s’impennano, pagarli diventa più difficile, tanti rinunciano. L’epidemia si diffonde velocemente. Il valore degli immobili precipita, si perdono posti di lavoro, si ferma la spesa. Il Paese si paralizza un attimo prima del panico, nel pieno di una grande depressione, sconforto di chi afferra di aver agito irresponsabilmente.
Lehman Brothers è nel cuore del disastro. La sua attività principale consiste nel rilevare mutui emessi da