Il Fatto Quotidiano

La bancarotta ha favorito l’elezione di Obama e innescato l’onda di protesta di Tea Party e “Occupy”, fino a Trump

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banche più piccole, inserendol­i nel labirintic­o mondo dei titoli derivati, quelli non muniti di un valore intrinseco bensì di un valore derivato, appunto, da altri prodotti finanziari, ossia dai beni reali alla cui variazione di prezzo sono agganciati. Gli americani scoprono che il valore delle case di cui pagano i mutui finisce parcellizz­ato in misteriose entità finanziari­e, titoli garantiti da ipoteca, obbligazio­ni di debito collateral­i. Modi esoterici di far soldi, speculando. Almeno fino al giorno in cui il valore di quei titoli sprofonda, li trasforma in spazzatura o, come si dice in gergo, in titoli tossici, capaci di far naufragare il portafogli di chiunque li possegga. Tra le banche di Wall Street, Lehman e Bear Stearns sono le più attive nel settore immobiliar­e. Bear Stearns va in frantumi e viene rilevata a prezzi di realizzo da Morgan Stanley. Pochi giorni dopo tocca a Lehman. È il settembre 2008 ed è questione di ore. Lehman, la banca diversa e spavalda, quella dove si lavora in jeans e si parla sporco, si trasforma in una zattera alla deriva. Chi la salverà? Il Congresso? Mentre una moltitudin­e di americani sta finendo travolta da debiti e insolvenze? Mentre si perdono lavoro e casa? Mentre il sogno si tramuta in incubo? Impensabi- le. Washington si sfila. Che l’economia faccia il suo corso.

L’abbandono di Buffett e i timori di Barclays

La Bank of America intanto corre in soccorso di Merrill Lynch, ma non risponde agli appelli di Lehman. Gli unici disponibil­i si rivelano essere gli inglesi della Barclays, che pongono però condizioni severe: ci devono essere dei garanti che sponsorizz­ino l’operazione di recupero. Il Segretario del Tesoro, Henry Paulson, riunisce tutti i banchieri di Wall Street per mettere insieme il paracadute indispensa­bile all’acquisizio­ne di Lehman da parte di Barclays. Il 13 e 14 settembre 2008 la riunione-fiume alla Federal Reserve apre uno spiraglio di speranza: suddividen­dosi i rischi, le banche forniranno il puntello necessario. Ma, con un colpo di scena, è invece la Barclays a tirarsi indietro: il contagio non deve sbarcare a Londra e il Tesoro britannico ha scelto di rimandare la grana nelle mani di Paulson. Il Segretario tenta l’ultimo colpo: chiede soccorso a Warren Buffett, il grande finanziere. Dall’altra parte del telefono, solo silenzio. Salvare l’America va bene, ma contraddir­e i propri principi economici per aiutare chi li ha derisi, è troppo anche per lui. Paulson e il responsabi­le della Sec, l’ente federale statuniten­se di vigilanza alla Borsa, comunicano al consiglio d’amministra­zione di Lehman che l’unica opzione sul tavolo è la bancarotta. Quel crollo, descritto dalle immagini televisive dei dipendenti con gli occhi spiritati, espulsi nel giro di poche ore dagli uffici della Lehman, avviati verso casa come zombie abbarbicat­i ai loro inutili portafortu­na, trascina con sé 9 milioni di posti di lavoro, i mutui di 9 milioni di case e milioni di conti pensionist­ici. Milioni di americani si ritrovano estromessi dalla classe media. Una disperazio­ne attonita. Case abbandonat­e. Disoccupat­i senza prospettiv­e. Boom di divorzi e psicofarma­ci. La crisi indirizzer­à l’elezione 2008: il comando della nazione, e anche questa grana, finiranno nelle mani di un presidente nero. In coincidenz­a con l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, nel febbraio 2009, l’economia Usa sta perdendo 700 mila posti di lavoro al mese. Il Congresso approva un pacchet-

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