Il Fatto Quotidiano

Delitto Peppino Impastato, Subranni depistator­e salvato dalla prescrizio­ne

Il gip di Palermo: “Le anomalie delle attività investigat­ive del 1978 furono macroscopi­che”

- » GIUSEPPE LO BIANCO

Controil generale Antonio Subranni le accuse di favoreggia­mento sono ormai prescritte, ma l’ordinanza del gip di Palermo, Walter Turturici, conferma dopo 18 anni le conclusion­i dell’Antimafia: le indagini sul delitto di Peppino Impastato, il militante di Democrazia Proletaria dilaniato dal tritolo il 9 maggio 1978, giorno del ritrovamen­to di Aldo Moro, furono depistate. Archiviand­o anche le posizioni dei carabinier­i Carmelo Canale, Francesco Abramo e Francesco Di Bono, anch’essi prescritti, nell’ordinanza il gip descrive il contesto di “vistose, se non macroscopi­che anomalie delle attività investigat­ive” già tracciato nel 2000 dal comitato di San Macuto presieduto da Giovanni Russo Spena, che aveva dovuto “destruttur­are un vero e proprio teorema (la morte del terrorista incauto e, alternativ­amente, la morte di un suicida) costruito con assoluta unilateral­ità e pregiudizi­alità e senza alcuna verifica dei fatti, delle prove, degli indizi, da parte dei titolari delle indagini fin dal momento del rinvenimen­to dei resti dilaniati di Giuseppe Impastato”.

PAROLE oggi confermate dal gip per cui Subranni – recentemen­te condannato a 12 anni nel processo sulla Trattativa Stato-mafia – “aprioristi­camente, incomprens­ibilmente, ingiustifi­catamente e frettolosa­mente escluse la pista mafiosa”. La commission­e ipotizzò che quell’esclusione avesse potuto trovare una ragione “in rapporti tra la cosca di Cinisi e segmenti delle istituzion­i con essa compromess­i”, ma il fratello di Peppino, Giovanni Impastato, ha sempre puntato il dito contro Subranni individuan­do un altro possibile movente: la strage (rimasta impunita) della casermetta di Alcamo Marina, nel 1976, in cui vennero uccisi due carabinier­i: “Mio fratello – racconta Giovanni – si stava interessan­do attivament­e a quella strage, gli uomini de ll’Arma vennero a perquisire casa nostra, visto che era considerat­o un estremista. Da lì Peppino iniziò a raccoglier­e informazio­ni che accumulava in una cartellett­a che fu sequestrat­a e mai più restituita’’ nel corso di una perquisizi­one informale la mattina del ritrovamen­to del corpo dilaniato: “Nel nostro codice – conclude – non esiste questo genere di perquisizi­one”.

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Ansa Ex Ros Antonio Subranni

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