“Lolita” fu Sally: il caso che ispirò Nabokov
Scrittore russo negò fino alla morte di aver attinto dalla cronaca, ora si smentisce da sé
Era il giugno del 1948 e Vladimir Vladimirovic Nabokov guidava per gli Stati Uniti alla ricerca di farfalle. In valigia, molto probabilmente, la bozza del suo “libro più difficile” sul cui frontespizio ancora si leggeva Il regno sul mare.
ERA IL GIUGNO del 1948 e il cinquantenne Frank La Salle iniziava la sua fuga per gli Stati Uniti con l’undicenne Sally Horner, adescata all’u sc it a dalla sua scuola di Camden, in New Jersey facendosi passare per un agente dell’Fbi.
Di lì a poco, lo scrittore russo sostituirà il titolo delle sue sudate carte con Lolita e lo darà alle stampe trasformandosi in uno dei più celebri e controversi scrittori del 900. Di lì a poco, nel marzo del 1950 – due anni, tempo interminabile per una vittima innocente – Sally riuscirà a chiamare casa e a essere liberata.
Nabokov lesse questa storia sulle cronache dei quotidiani e da qui prese ispirazione per la sua Lolita. È questa la tesi che rivive oggi in The real Lolita scritto da Sarah Weinman in questi giorni nelle librerie Usa, dopo anni di negazioni da parte dell’autore stesso, il quale asserì in diverse interviste di non aver preso spunto né da questo, nè da altri casi simili. Altro che solleticato dalla “scimmia del Jardin des Plantes”, escamotage ironico utilizzato dallo scrittore bilingue per smarcarsi dalla censura. Lolita fu Sally. Né pedofilo, né pornografo, né tantomeno alter egodi Humbert Humbert, il protagonista del suo romanzo. Ora abbiamo le prove che Nabokov attinse dalla nuda e fe- roce cronaca. La studiosa, infatti, ha tirato fuori dalla “Library of Congress”, una nota dell’autore che riporta addirittura la morte di Sally, evento di cui neanche il New York Timesaveva dato conto nelle sue colonne. Sì, perché la “Lolita reale” – se possibile – farà una fine peggiore di quella letteraria. Dopo la liberazione, infatti, la giovane del New Jersey tornò nella sua comunità che però – all’oscuro della a noi ormai nota sindrome di Stoccolma – la bollò per sempre come “prostituta”. Finché non morì in un incidente pochi anni dopo, a soli 15 anni.
Nonostante il diverso finale, però, le somiglianze tra le due storie non sono poche. Non ultima la connessione metaletteraria: verso la fine del romanzo, infatti, è lo stesso autore che fa chiedere al protagonista, in un flusso di coscienza, se lui non fosse poi tanto diverso da mostri come La Salle. Una domanda che più che a se stesso, Humbert Humbert – e quindi Nabokov – pone al lettore. Una questione letteraria, ma anche sociale. Che poi è la ragione che ha gui- dato il lavoro di Sarah Weinman nel suo libro: mettere l’accento sulla storia vera di una ragazzina rapita nel 1950 e stigmatizzata da tutti. Argomento principe anche dell’opera di Nabokov e ragione ultima del successo del suo romanzo. Non a caso fu proprio il suo editore a sperare che “Lolita avrebbe incoraggiato un cambiamento negli atteggiamenti sociali verso il tipo di amore descritto in Lolita”.
TORNANDO ALL’AUTORE invece, possiamo soltanto immaginare cosa risponderebbe leggendo dell’ennesimo studio che riporta a ragioni “terrene” la sua massima opera edonistica. “La parte migliore della biografia di uno scrittore non è il catalogo delle sue avventure, ma la storia del suo stile”.