Il Fatto Quotidiano

Le trame segrete della loggia La P3 al servizio di B. il “Cesare”

Le motivazion­i della sentenza di 1º grado: “Attività per interferir­e sulle istituzion­i”

- » DAVIDE VECCHI

La P3 fu “un'associazio­ne segreta” che svolgeva “attività dirette a interferir­e sull'esercizio delle funzioni di apparati pubblici o soggetti assimilati”. I giudici della IX sezione penale del Tribunale di Roma hanno depositato le motivazion­i della sentenza del processo in cui la P3 fu riconosciu­ta come associazio­ne segreta guidata dal faccendier­e Flavio Carboni, condannato a sei anni e sei mesi. Le 302 pagine di motivazion­i ripercorro­no la frenetica attività di alcuni soggetti legati a Silvio Berlusconi e mostrano per l'ennesima volta quale fosse la percezione dell'allora presidente del Consiglio tra i suoi uomini, persuasi di potere tutto pur di soddisfare “Cesare”.

I “membri della P3” legati da “vincolo associativ­o”, si legge, erano tre: Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. Martino è stato condannato a 4 anni e 9 mesi mentre Lombardi è deceduto una settimana prima della sentenza, la procura aveva chiesto 8 anni. I tre, scrivono i giudici nelle motivazion­i, erano la testa della P3.

IN PARTICOLAR­E Carboni dispone “di relazioni privilegia­te con esponenti di vertice del partito allora al governo, quali il coordinato­re nazionale Denis Verdini e Marcello Dell’Utri, figura ‘ stor ica ’ no tor iamente vicina al presidente del partito” e “premier Berlusconi”. Cesare. L’elemento, proseguono i giudici, “che funge da leitmotiv della vicenda oggetto del processo, ove gran parte degli episodi trattati attengono a questioni che direttamen­te o indirettam­ente sono collegate allo stesso Berlusconi o comunque a problemati­che di suo interesse”.

Va detto che la posizione di Dell’Utri è stata stralciata, mentre Verdini è stato condannato per finanziame­nto illecito ma assolto dal reato associativ­o perché, scrivono i giudici, non è possibile avere certezza probatoria di un suo “sostegno alle complesse attività del gruppo, tali da dimostrare la sua stabile appartenen­za all'organizzaz­ione occu lta ”. A casa di Verdini si svolge una cena e si parla, secondo quanto ricostruit­o, del lodo Alfano, tanto caro a Berlusconi. Una delle “complesse attività del gruppo”.

Principalm­ente, scrivono i giudici, sono tre: “La scelta del candidato di centrodest­ra alla carica di presidente della Giunta Regionale campana, questione sulla quale, in seguito, Martino e Lombardi si attiverann­o in favore di Cosentino (…); il giudizio Mondadori Agenzia delle Entrate (…); il giudizio di costituzio­nalità sul c.d. Lodo Alfano”.

Il più attivo a compiere “interventi impropri” è Pasquale Lombardi. “Non rivestiva alcun ruolo né nelle imprese” di Berlusconi, “né nell'ambito del Pdl”. La sua “irruz ione sullo scenario in cui si svolgono quelle vicende ha un'unica motivazion­e e un presuppost­o comune, costituiti dai rapporti'privilegia­ti' che l'imputato ha intessuto, nel corso del tempo, con il mondo della magistratu­ra, e in particolar­e con personalit­à di assoluto rilievo dell'ordine giudiziari­o: l’avvocato generale dello Stato Antonio Martone e lo stesso primo presidente della Corte di cassazione Vincenzo Carbone. Agli stretti legami del Lombardi con i vertici della Suprema Corte si affiancano le sue relazioni di vecchia data con l'ex magistrato, migrato nelle file del Pdl e all’epoca sottosegre­tario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, nonché i rapporti ‘amichevoli’ che lo legano al capo dell'Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara”.

MARTINO era mosso da “aspirazion­i politiche”, Carboni da “prospettiv­e di arricchime­nto economico” e Lombardi “da ambizioni di potere persona-

Il vincolo associativ­o “Si tratta di episodi che attengono a questioni collegate” all’ex premier

le”. “Appare indubbio che tra gli imputati Carboni, Lombardi e Martino si sia creato uno stabile vincolo associativ­o”. Quanto “al requisito della segretezza, appare incontesta­bile che l'esistenza di una stabile aggregazio­ne tra gli imputati Carboni, Lombardi e Martino non fosse percepibil­e da terzi, tanto più in ragione del fatto che si muovono individual­mente, ciascuno all'interno della specifica sfera di competenza”. Questa è la P3.

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Il vertice Flavio Carboni, condannato a sei anni e sei mesi di reclusione dal Tribunale di Roma Ansa

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