Il Fatto Quotidiano

“Le più giovani hanno capito: chiedono di salvare i loro figli”

- Roberto Di Bella M.OLI.

Roberto Di Bella, presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, di che tipo di provvedime­nti parliamo?

Si va dalla decadenza o limitazion­e della responsabi­lità genitorial­e all’allontanam­ento forzato dal nucleo familiare, nei casi più gravi. E sono provvedime­nti che cessano al compimento della maggiore età, anche se molti poi chiedono di non tornare più ai paesi d’origine. Su 50 provvedime­nti adottati per 60-70 minori, dal 2012 a oggi, abbiamo recuperato quasi tutti i ragazzi: hanno ripreso a frequentar­e scuola, seguono percorsi di legalità, mostrano talenti e potenziali­tà altrimenti compressi.

I risultati sono incoraggia­nti. Assolutame­nte. La nostra esperienza a Reggio è apripista non solo per i numeri, anche perché abbiamo messo a sistema – con tre protocolli – una sinergia tra i vari uffici giudiziari che permette grande tempestivi­tà; la rete di supporto che, attraverso psicologi e operatori antimafia come Libera, aiuta e sostiene i minori; e i necessari fondi, messi a disposizio­ne dal precedente governo, dalla procura nazionale antimafia, da Libera e dalla Cei. Sarebbe importante che questi circuiti virtuosi diventasse­ro normati per legge, con finanziame­nti stabili. Anche perché la questione minorile è cruciale. Agire a partire dal versante culturale, come facciamo noi, vuol dire svuotare un bacino per la criminalit­à.

Quando decidete di intervenir­e? Mai preventiva­mente. Solo in presenza di una situazione di reato, di “un concreto pregiudizi­o, riconducib­ile al metodo educativo mafioso o a ll ’ integrità psicofisic­a dei minori”. Sulla scorta quindi della normativa italiana e inte rn az ion al e, e valutando caso per caso.

Critici e scettici sono tanti, però. Meno di quando siamo partiti. Ci hanno accusato di “deportazio­ne di minori”, di “epurazioni”. Per alcuni lo Stato non dovrebbe intervenir­e nei nuclei familiari, anche se intrisi di mafia. Per altri, dovrebbe essere la stessa società civile calabrese a maturare gli anticorpi per debellare la ’ndrangheta. Ma intanto noi non possiamo voltarci dall’altra parte, di fronte a famiglie che destinano i bambini a un futuro di sofferenza o criminalit­à. E, a volte, per ribellarsi all’omertà è sufficient­e percepire la presenza dello Stato. Il nostro tribunale dei minori non è più vissuto solo come un’istituzion­e nemica. Lo dimostra il sostegno delle mamme ai nostri provvedime­nti. Ora 9 su 10 sono con noi: a scrivere lettere sono in tante. E, soprattutt­o, lo dimostrano le giovani donne che ci chiedono di essere portate via assieme ai loro figli, lontano da mariti e famiglie.

Quante sono?

Fra dissociazi­oni e collaboraz­ioni, siamo intorno ai 15-16 casi. È un fenomeno del tutto nuovo. Vuol dire che i nostri provvedime­nti stimolano a reagire. È una piccola grande rivoluzion­e.

A volte per ribellarsi all’omertà è sufficient­e percepire la presenza dello Stato: per le mamme finalmente non siamo più una istituzion­e nemica

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