Lotta ai signori del marmo: “Nazionalizziamo le cave”
Cosa c’entra un editto del 1751 con l’ultimo bilancio del Comune di Carrara? La risposta è nei cosiddetti “beni estimati”, quelle cave di marmo in mano ai privati su cui la città non ha alcun diritto proprio in virtù di un regolamento che risale a tre secoli fa e che nessuno è ancora riuscito a cambiare. Il prossimo a provarci sarà il deputato massese del Movimento 5 Stelle Riccardo Ricciardi, che ha promesso di portare la questione in Parlamento: “La gestione delle cave deve tornare in mano al pubblico”. Non sarà per niente facile.
LE CAVE ATTIVE a Carrara sono 81, di cui 29 agri marmiferi (cioè pubbliche e date in concessione ai privati), 8 beni estimati e 44 a regime misto. Sulle prime il Comune –ora guidato dal 5 Stelle Francesco De Pasquale – può pretendere il canone di concessione, ovvero una tassa annuale che nel 2017 ha garantito circa 26 milioni di gettito nelle casse della città. Le stesse aziende pagano poi un contributo ambientale alla Regione Toscana, pari a meno di un milione di euro l’anno. Chi possiede i beni estimati, invece, non è tenuto a pagare la tassa comunale e può godere delle cave senza passare da gare pubbliche per la concessione. Colpa – o merito, a seconda dei punti di vista – dell’editto del 1751 di Maria Teresa Cybo Malaspina, che volendo metter ordine sulla questione del marmo stabilì che “se l’allibrazione delle medesime (cave, ndr) è seguita venti anni prima della presente Nostra ordinazione, niun diritto pretender mai più possa sopra di esse o sopra i loro Possessori”.
MUSICA per le orecchie dei proprietari dei beni estimati, che hanno dunque potere eterno sulle loro cave. Negli ultimi 300 anni questi bacini sono stati trattati come beni privati, al centro di trattative e passaggi di mano che non hanno mai coinvolto il Comune. A comprare alcune delle cave, quattro anni fa, è stata la famiglia di Osama Bin Laden, i cui fratelli e cugini hanno acquistato il 50 per cento della Marmi Carrara che a sua volta, tramite partecipazioni, controlla diversi bacini carraresi.
D’altra parte il business fa gola a tanti: ogni anno si escavano più di 3 milioni di tonnellate di marmo, buoni a garantire ricavi a sei zeri ai colossi delle cave. Basti pensare alla Franchi Umberto Marmi, che nel 2017 ha avuto utili per 19,2 milioni, o alla Sagevan (12 milioni), o ancora alla Furrer (5 milioni), in un comparto in cui solo la produzione – senza dunque tener conto della lavo- razione – ha un valore di quasi 1 miliardo all’anno nell’intera provincia.
Con le regole di oggi sul canone di concessione, restituire al pubblico i beni estimati varrebbe almeno 4 milioni di euro l’anno per Carrara: “Dei grandi profitti dei proprietari del marmo – dice Ricciardi – resta troppo poco al Comune. Bisognerà aprire un tavolo con le parti in causa e poi portare la questione a Roma, come indicato dalla sentenza della corte costituzionale sulla legge regionale del 2015”. Il riferimento è alla pronuncia che due anni fa ha bocciato una delibera della Toscana sulla nazionalizzazione dei beni estimati: “Sostenevamo che l’editto non avesse concesso la proprietà – spiega Vincenzo Ceccarelli, assessore alla Mobilità e all’Urbanistica della Toscana – ma soltanto la concessione di cave che, a quel punto, erano sempre rimaste pubbliche”. Allora il governo aveva impugnato la legge davanti alla Consulta, che ha poi ribadito la sacralità dei beni estimati. Quella stessa sentenza, però, non aveva escluso la possibilità di superare Maria Teresa Cybo Malaspina, pur rimandando eventuali interventi al Parlamento e non alla Regione: “La potestà di interpretazione autentica spetta a chi sia titolare della funziona legislativa nella materia cui la norma è riconducibile. Ed è innegabile che l’individuazione della natura pubblica o privata dei beni appartiene all’o r di n amento civile”.
MA NON È SOLOuna questione di competenze. Sul merito dei beni estimati si è espresso lo scorso anno il Tribunale di Massa: “Anche il legislatore nazionale – spiega Sergio Menchini, l’avvocato che ha assistito diversi proprietari dei beni estimati – avrà non pochi problemi a intervenire dopo che il Tribunale ha chiarito che quelle cave sono private”. Le strade possibili, dice l’avvocato, sono due, entrambe complicate: “Se il legislatore decide che da ora in poi le cave sono pubbliche, si tratterebbe di un esproprio mascherato e dovrebbe pagare fior di milioni ai proprietari. Se invece si dice che l’editto era stato mal interpretato e che le cave sono sempre state pubbliche, allora lo Stato si esporrebbe a facili ricorsi”. A Ricciardi – e al Parlamento – il compito di trovare una soluzione.
LA PROPOSTA DEL GRILLINO “Così dei grandi profitti resta troppo poco al Comune Bisognerà aprire un tavolo e portare il caso a Roma”
L’AVVOCATO SERGIO MENCHINI “Intervenire non sarà facile: si dovrebbero pagare fior di milioni ai proprietari oppure esporsi a facili ricorsi”