SALVINI È SOLO UN BUGIARDONE RIMASTO FERMO A RONCISVALLE
Può certo apparire risibile voler ancora parlare criticamente – coi tempi che corrono – di fascismo e antifascismo quasi fossero categorie dello spirito astoriche, metastoriche e immanenti e non già invece, come essi sono, puri e semplici fatti storici, per quanto luttuosi e travagliati, ma storicamente appunto determinati, e soprattutto circostanziati in precisi hic et nuncnon dilatabili, secondo ogni buon senso, oltre misura.
MA QUALE buon senso, quale sforzo critico è possibile quando un ministro della Repubblica – a chi gli fa notare che fino a cinquant’anni fa erano gli italiani a emigrare in massa, in giro per l’universo mondo – sostiene che questo non c’entri un tubo con le ondate immigratorie che adesso ci riguardano: “Nessuno si permetta di paragonare le due cose, nessuno offenda i nostri nonni e nostri padri mischiandoli a questi. Noi emigravamo per lavorare, eravamo tutti santi e facevamo solo il bene di chi ci ospitava. Loro invece ci infettano, sfruttano, delinquo- no e basta. Restassero a casa loro. Altro che i nostri nonni”.
“Paien unt tort e crestiens unt dreit” recitava La canzone d’Orlando : “I pagani hanno torto e noi cristiani ragione. Scanniamoli – o meglio, affoghiamoli – senza pietà”. Ecco, il ministro è rimasto là – a Roncisvalle – più di mille anni fa. Stesso spirito critico, stessa onestà intellettuale; anzi, un po’ meno, poiché la Canzone d’Orlando a un certo punto si faceva anche carico del punto di vista altro del presunto cattivo Gano di Maganza: “Ognuno ga le so razon”, avrebbe detto mio zio Adelchi.
Il ministro no: “Ciò ragione io e basta. Tàja che è rosso, guai a chi mischia ’ sti migranti con i nostri”.
Qui ovviamente non è un problema di fascismo o antifascismo – a meno che appunto non li si voglia considerare categorie dello spirito – ma di pura e semplice ignoranza assoluta, molto al di sotto del bene e del male, di chi non si è letto neanche lo straccio di uno dei tanti libri, che pure esistono, sulla storia dell’emigrazione in- terna ed estera italiana.
In Canada e negli Usa – ad esempio – ancora ci chiamano “Dago”, perché stavamo sempre col coltello in tasca e pronti subito a tirarlo fuori. Nel Norditalia invece “terroni”, che nessuno voleva come vicini di casa. Vai a chiedere poi agli abitanti dei monti Lepini – nel Lazio – come ci hanno percepito e accolto, trentamila veneti portati giù dal fascio negli anni Trenta in Agro Pontino. “Ladri delle nostre terre” ci chiamavano.
Dice: “Vabbe’! Ma mica è obbligatorio leggere i libri, sia giallo-polizieschi che porno, storici o d’emigrazione”.
No, non è obbligatorio infatti, se tu di mestiere fai il barbiere, il barista o il muratore. E soprattutto se ti stai zitto e non apri bocca, quando intorno a te qualcuno parla di emigrazione.
Ma se tu fai il ministro – porca puttana – e sproloqui a più non posso, sei solo un somaro che raglia, se non studi e non conosci queste cose. E se invece le conosci – ma ragli uguale, per esclusiva bassa propaganda e demagogia – allora sei una faccia da culo che mente, sapendo di mentire.
Dice: “Ma è un ministro della Repubblica”.
E che ci posso fare io? Mica è colpa mia se mente. La faccia poi è come l’onestà intellettuale: ognuno si tiene quella che ha.