Il Fatto Quotidiano

SALVINI È SOLO UN BUGIARDONE RIMASTO FERMO A RONCISVALL­E

- » ANTONIO PENNACCHI

Può certo apparire risibile voler ancora parlare criticamen­te – coi tempi che corrono – di fascismo e antifascis­mo quasi fossero categorie dello spirito astoriche, metastoric­he e immanenti e non già invece, come essi sono, puri e semplici fatti storici, per quanto luttuosi e travagliat­i, ma storicamen­te appunto determinat­i, e soprattutt­o circostanz­iati in precisi hic et nuncnon dilatabili, secondo ogni buon senso, oltre misura.

MA QUALE buon senso, quale sforzo critico è possibile quando un ministro della Repubblica – a chi gli fa notare che fino a cinquant’anni fa erano gli italiani a emigrare in massa, in giro per l’universo mondo – sostiene che questo non c’entri un tubo con le ondate immigrator­ie che adesso ci riguardano: “Nessuno si permetta di paragonare le due cose, nessuno offenda i nostri nonni e nostri padri mischiando­li a questi. Noi emigravamo per lavorare, eravamo tutti santi e facevamo solo il bene di chi ci ospitava. Loro invece ci infettano, sfruttano, delinquo- no e basta. Restassero a casa loro. Altro che i nostri nonni”.

“Paien unt tort e crestiens unt dreit” recitava La canzone d’Orlando : “I pagani hanno torto e noi cristiani ragione. Scanniamol­i – o meglio, affoghiamo­li – senza pietà”. Ecco, il ministro è rimasto là – a Roncisvall­e – più di mille anni fa. Stesso spirito critico, stessa onestà intellettu­ale; anzi, un po’ meno, poiché la Canzone d’Orlando a un certo punto si faceva anche carico del punto di vista altro del presunto cattivo Gano di Maganza: “Ognuno ga le so razon”, avrebbe detto mio zio Adelchi.

Il ministro no: “Ciò ragione io e basta. Tàja che è rosso, guai a chi mischia ’ sti migranti con i nostri”.

Qui ovviamente non è un problema di fascismo o antifascis­mo – a meno che appunto non li si voglia considerar­e categorie dello spirito – ma di pura e semplice ignoranza assoluta, molto al di sotto del bene e del male, di chi non si è letto neanche lo straccio di uno dei tanti libri, che pure esistono, sulla storia dell’emigrazion­e in- terna ed estera italiana.

In Canada e negli Usa – ad esempio – ancora ci chiamano “Dago”, perché stavamo sempre col coltello in tasca e pronti subito a tirarlo fuori. Nel Norditalia invece “terroni”, che nessuno voleva come vicini di casa. Vai a chiedere poi agli abitanti dei monti Lepini – nel Lazio – come ci hanno percepito e accolto, trentamila veneti portati giù dal fascio negli anni Trenta in Agro Pontino. “Ladri delle nostre terre” ci chiamavano.

Dice: “Vabbe’! Ma mica è obbligator­io leggere i libri, sia giallo-poliziesch­i che porno, storici o d’emigrazion­e”.

No, non è obbligator­io infatti, se tu di mestiere fai il barbiere, il barista o il muratore. E soprattutt­o se ti stai zitto e non apri bocca, quando intorno a te qualcuno parla di emigrazion­e.

Ma se tu fai il ministro – porca puttana – e sproloqui a più non posso, sei solo un somaro che raglia, se non studi e non conosci queste cose. E se invece le conosci – ma ragli uguale, per esclusiva bassa propaganda e demagogia – allora sei una faccia da culo che mente, sapendo di mentire.

Dice: “Ma è un ministro della Repubblica”.

E che ci posso fare io? Mica è colpa mia se mente. La faccia poi è come l’onestà intellettu­ale: ognuno si tiene quella che ha.

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