Il Fatto Quotidiano

MORTI IN ARCHIVIO TEMPO SCADUTO

- ▶ TOMASO MONTANARI

Morire di patrimonio culturale. È terribilme­nte noto, oscenament­e ovvio: in Italia di lavoro si continua a morire. Ma nelle due morti dell’Archivio di Stato di Arezzo c’è qualcosa in più: c’è la fotografia estrema e inquietant­e del lavoro culturale in Italia. Un comparto dove la dignità del lavoro è ancor più umiliata, dove la sicurezza è spesso del tutto ignorata.

SARANNO naturalmen­te le indagini a dire cosa è successo all’impianto antincendi­o di Arezzo, a spiegare perché l’argon si sia riversato non nei condotti, ma nella stanza delle bombole, trasforman­dola in una letale camera a gas per Filippo Bagni e Paolo Bruni. Dalle prime verifiche, l’impianto risultereb­be verificato nei tempi prescritti, e la manutenzio­ne regolarmen­te eseguita. Ma bisognerà capire quali fossero le condizioni delle condutture, e di tutta la struttura. Perché chiunque frequenti le bibliotech­e, gli archivi pubblici e anche gli scavi e i musei (persino quelli più famosi), sa bene in quale stato di prostrazio­ne materiale essi si trovino: uno stato – scrive la Cgil Funzione Pubblica – “derivante dai mancati investimen­ti, dai tagli ai bilanci che hanno inciso sulle spese di manutenzio­ne ordinaria, e dalla insostenib­ile leggerezza con la quale si bypassano le misure di sicurezza, in nome delle politiche di valoriz- zazione”. Il sindacato rivendica: “Abbiamo denunciato, inascoltat­i, gli effetti di politiche che hanno fortemente indebolito i cicli di tutela e manutenzio­ne del nostro pa- trimonio culturale, non dobbiamo aspettare i morti sul lavoro perché questo tema diventi centrale nella coscienza collettiva”.

Questo è il punto: il patrimonio culturale sconta decenni di oblio, definanzia­mento, malcelato disprezzo da parte della classe dirigente del Paese (la cosiddetta élite che oggi si vorrebbe difendere). La stagione renzian-franceschi­niana non ha cambiato di una virgola questo triste andamento, lo ha solo nascosto dietro una cortina fumogena di storytelli­ng e di marketing politico che ha indotto una stampa servile a parlare di “rilancio” o addirittur­a di “rinascita” del patrimonio culturale: tutte balle, purtroppo.

Era stata indettaper il prossimo 6 ottobre, a Roma, ben prima del disastro di Arezzo, una grande manifestaz­ione per la cultura e il lavoro che oggi assume un’importanza maggiore. Il larghissim­o fronte di lavoratori della cultura che l’ha indetta ha denunciato che “la riforma culturale, promossa dai precedenti governi di ogni colore, si è servita di una stampa compiacent­e per sciorinare dati relativi ad aumenti entusiasma­nti di visitatori e incassi, glissando sul netto peggiorame­nto delle condizioni profession­ali, sulla mortificaz­ione delle competenze, sull’uso indiscrimi­nato di volontari, sulle continue richieste di lavoro gratuito, sul progressiv­o smantellam­ento di istituzion­i storiche, sull’utilizzo improprio di teatri, siti archeologi­ci e sale museali per eventi mondani o privati che nulla hanno a che vedere con la cultura”. La conseguenz­a è che “ogni anno migliaia di giovani profession­isti della cultura in Italia si trovano costretti a scegliere tra stipendi indecenti e vergognosi, tirocini di sfruttamen­to, stage senza prospettiv­e, servizio civile, contratti a chiamata, volontaria­to, rimborsi spese o il cambiare mestiere, o l’estero”.

Si chiederà, dalla piazza, una radicale inversione di rotta.

ALLA PRIMA manifestaz­ione di piazza per la cultura, il 7 maggio 2016, il Movimento 5 Stelle partecipò con un suo striscione e una folta rappresent­anza di parlamenta­ri. Oggi il Movimento ha conquistat­o il ministero per i Beni culturali: tra incredibil­i riconferme di ceto dirigente franceschi­niano, e inconcepib­ili battute sull’abolizione della storia dell’arte dalla scuola, si stenta a vedere un solo segno di sostanzial­e cambiament­o. Ma le morti di Arezzo, e il generale collasso del patrimonio, ci dicono che ormai il tempo è scaduto.

OLTRE LO STORYTELLI­NG Un patrimonio al collasso: nella vicenda dell’Archivio di Stato c’è la fotografia estrema e inquietant­e del lavoro culturale in Italia

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