ORMAI SOLTANTO UN UTOPISTA VUOLE FARE IL PRESIDE
Sono trascorsi 25 anni da quando, nel 1993, pubblicai un libro sui mali della scuola italiana. Rovesciavo addosso alla vecchia istituzione una serie di critiche, a partire da un ordinamento che risaliva alla riforma Gentile del 1923 e ai programmi della stessa, tali e quali nel tempo. Ma l’elenco dei problemi continuava: edifici in pessime condizioni e non a norma; anacronismo dell’esame di maturità; insegnanti mal pagati e troppo spesso poco preparati; scarso inserimento delle lingue straniere se non nelle sperimentazioni, e comunque nessuna attenzione al mondo che stava cambiando: dunque, i soliti Inglese, Francese e, tutt’al più, Tedesco e Spagnolo, ma mai che si allargassero le scelte a Russo, Cinese, Arabo… Troppo pochi, infine, i concorsi ordinari per accedere ai ruoli di insegnante o di preside. Una scuola che stentava a programmare in maniera costruttiva il futuro. Bene, a distanza di 25 anni devo fare autodafé: se ripenso a quei tempi e li confronto con la “Buona s c uo l a ”, la vecchia istituzione mi sembra un paradiso. Non si tratta di patetiche nostalgie. Basta tenere gli occhi aperti. E, con la ripresa delle lezioni, viene naturale una serie di riflessioni polemiche sul presente. In poche righe: la scuola come azienda ( una follia); il preside diventato dirigente-ma- nager, alla faccia della didattica; il profluvio di leggi e leggine, e di anglicismi e di sigle ridicole che devastano leggi e ordinanze; la scomparsa della centralità del ruolo del docente, ridotto a facilitatore, accompagnatore, e, quando resta tempo, insegnante, ma non ex cathedra, per carità!
E ANCORA: l’azzeramento del senso della Storia in nome dell’eterno presente, sorretto dal cattivo uso di Internet e dal pessimo esempio dato dalla società. Il permanente cattivo stato dell’edilizia scolastica. Dulcis in fundo, l’invenzione dell’alternanza scuola-lavoro, con un numero spropositato di ore dedicate a quest’ultimo, a tutto detrimento della sete di conoscenza (epistemofilia) che è stato e deve essere il valoroso perno dell’istruzione. Concen- triamoci per ora sul problema dei dirigenti manager. Oggi circa il 50% delle scuole non ha un suo titolare e occorre far riferimento a un reggente, titolare di altra scuola cui la prima viene accorpata. Tendenza, quella dell’accorpamento di più istituti, senza nessuna cura delle competenze, enfatizzata dalla “Buona scuola”, e per due soldi in più. Tuttavia, cosa ne sa, un preside di un liceo, della didattica e dei problemi della scuola elementare che gli è stata affibbiata? Una sola scuola in più, quando gli va bene, e non necessariamente poco distante dall’altra. Perché qualche anno fa intervistai, in Liguria, una preside che doveva “r eg g e r e ” 15 plessi scolastici! Conviene ancora, a queste condizioni, dirigere una scuola? Aggiungiamo, per capire meglio, la tabella delle responsabilità di un dirigente secondo il Miur, e tratteniamo il fiato. Ecco: risponde in prima persona dei risultati; applicazione regolamento privacy; assunzione diretta del personale supplente; attuazione norme anticorruzione; direzione, coordinamento e controllo attività degli uffici; gestione appalti; gestione e partecipazione organi collegiali; gestione vertenze disciplinari con il personale; organizzazione dell’attività didattica delle scuole; promozione della col- laborazione col territorio; rapporti e contenzioso col personale dipendente; rapporti e contenzioso con l’utenza; rappresentanza dell’Amministrazione in giudizio; rappresentanza legale; responsabilità civile verso il personale; responsabilità civile verso utenza (alunni); responsabilità contabile; responsabilità erariali; responsabilità gestione previdenziale; responsabilità per la trasparenza dei siti web; responsabilità sostituto d’imposta; responsabilità sulla sicurezza degli edifici scolastici; titolarità relazioni sindacali, contrattazione Rsu; verifica legittimità delle delibere.
TUTTO QUI? Tutto qui. E se sbagli paghi. Ma nemmeno Nembo Kid riuscirebbe. Solo un utopista può voler far il dirigente, per di più con un contratto triennale che non ti garantisce la continuità ulteriore nello stesso istituto. Vorrei chiudere con un aneddoto. Nella seconda metà degli anni Ottanta, quando ero preside in un istituto magistrale milanese che non dava problemi, e con una vicepreside (Antonia Cozzi) e una segretaria (Mirella Bellotti) straordinarie, avendo saputo che era vacante il posto di preside in uno scientifico dell’hinterland comodo da Milano, mi venne lo sfizio (assurdo, ma ero giovane!) di andare in Provveditorato e chiederne la reggenza. Il dirigente che mi diede retta era intelligente e bravissima persona. Si mise a ridere e mi disse: “Guagliò, ma che, vuoi lavorare il doppio? E poi, sai, la legge non lo permette”. Aveva ragione lui. Ma oggi il mondo è alla rovescia.