Le “larghe intese” e il trionfo del partito-azienda
“Il berlusconismo può sopravvivere a Berlusconi e, anzi, senza di lui può essere perfino peggio, a giudicare dall’assortita compagnia dei suoi epigoni e dei suoi imitatori”
(autocitazione da “La Sindrome di Arcore” – Longanesi, 2009 – pag. 125)
Con l’accordo raggiunto nella reggia di Arcore da Silvio Berlusconi e Matteo Salvini sulla presidenza della Rai, e a quanto pare sulla lista unitaria dalle prossime Regionali in avanti, il centrodestra s’è dunque ricompattato dopo lo strappo post-elettorale della Lega. Un “voto di scambio” o meglio un’astensione di scambio, visto che Forza Italia si asterrà sulla ri-nomina di Marcello Foa, già bocciato una prima volta, al vertice del servizio pubblico radiotelevisivo. Il patto di Arcore sostituisce dunque quello del Nazareno, siglato a suo tempo con il Pd di Matteo Renzi. E ora, per la proprietà transitiva, coinvolge anche il Movimento 5 Stelle: “L’alleanza con Di Maio l’ho fatta e la rifarei domani mattina”, ha dichiarato testualmente nei giorni scorsi il leader leghista, superando così di fatto il “contratto di governo” sulla base del quale s’è costituito l’esecutivo giallo-verde.
Sono le nuove “larghe intese”– anzi larghissime, dal momento che comprendono anche l’estrema destra di Giorgia Meloni – fondate sul terreno nevralgico della televisione e soprattutto della pubblicità. Tant’è che il Movimento 5 Stelle si appresta a confermare nella Commissione parlamentare di Vigilanza, presieduta da un ex conduttore di Mediaset come Alberto Barachini, il suo sì alla candidatura di Foa, ex giornalista del Giornale, con tanti saluti al vituperato conflitto d’interessi.
È IL TRIONFO, L’APOTEOSI del partito-azienda. Neppure nel suo fatidico ventennio, ai tempi nefasti del “regime televisivo”, l’ex Cavaliere era riuscito a ottenere contemporaneamente due posti-chiave “di garanzia” per controllare la principale concorrente e tutelare i propri affari.
Quell’immagine in controluce di Berlusconi sulla soglia della sua residenza mentre saluta gli ospiti con un gesto benedicente e il cagnolino bianco tra i piedi, al termine del vertice di Arcore con Salvini, Giorgetti e Tajani, sarebbe degna del Caimano di Nanni Moretti o di Loro 2 di Paolo Sorrentino. Lui è ancora vivo e vegeto e lotta insieme a noi. E soprattutto, è vivo e vegeto il berlusconismo nell’interpretazione “dei suoi epigoni e dei suoi imitatori”.
Fatto sta che il M5S, volente o nolente, rischia così di contribuire dall’esterno a costruire il trampolino di lancio per il centrodestra a trazione leghista in vista delle Europee di maggio. Allora Salvini, sostenuto da Berlusconi e spalleggiato da Meloni, potrà far saltare eventualmente il banco del governo per andare a nuove elezioni politiche, e magari diventare premier, mettendo allo scoperto le contraddizioni e le tensioni che covano nella base pentastellata. Oppure, potrà alzare il prezzo facendo valere il peso maggiore della sua coalizione e subordinando il ruolo dei Cinquestelle.
A quel punto, si tratterà di vedere se il Pd sarà stato capace nel frattempo di risorgere dalle ceneri, come l’Araba Fenice, per prepararsi prima o poi a quell’accordo con il M5S che il direttore di questo giornale auspicava già all’indomani delle ultime Politiche. O in alternativa, secondo la proposta dell’attuale segretario Maurizio Martina, se riuscirà ad aggregare un’area progressista su scala europea, contro il fronte populista e sovranista. Tutto dipenderà dai rapporti di forza che gli elettori sanciranno nelle urne di primavera. Ma per il momento l’Araba Fenice – come scrive Metastasio nel suo melodramma – “che ci sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa”.