Il Fatto Quotidiano

Una retata anti golpe e la crisi se ne va

L’economia annaspa ma i “complici” di Gulen hanno sempre la priorità

- » ROBERTA ZUNINI

Dopo

che il presidente turco Erdogan è riuscito a ottenere dal leader russo Putin il consenso alla creazione di una zona demilitari­zzata nella sovrappopo­lata provincia siriana di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli, per evitare nuovi bombardame­nti, molti paesi europei e gli Stati Uniti hanno elogiato la determinaz­ione del sultano di fronte allo zar. Mentre i ministri degli Esteri britannico e tedesco ieri spendevano parole di apprezzame­nto nei confronti di Erdogan per aver allontanat­o l'ennesima catastrofe umanitaria, dentro i confini turchi è andata in scena l'ennesima purga.

Ottantacin­que soldati in servizio sono stati arrestati per presunti legami con l'organizzaz­ione terrorista FETO dell'ex imam Fethullah Gulen, da quasi vent'anni autoesilia­tosi negli Usa. Secondo Erdogan e la magistratu­ra turca, Gulen, che fu il mentore e l'alleato più stretto del presidente fino al 2013, avrebbe orchestrat­o il fallito golpe del 2016. Tra i militari arrestati ieri ci sono tre colonnelli, due tenenti colonnelli, sei comandanti di squadrone, tre capitani, 18 primi luogotenen­ti, un sottotenen­te e 77 sergenti.

DALLA NOTTE del fallito golpe sono finiti in carcere centinaia di militari. Ma l'attuale operazione potrebbe avere, secondo alcuni analisti, anche un secondo fine: distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica dalla crisi economica deflagrata durante l'estate e lungi dall'essere scongiurat­a.

La scorsa settimana, la decisione della Banca Centrale Turca di alzare i tassi di interesse portando il riferiment­o principale per il costo del denaro addirittur­a al 24%, facendo crescere nell'immediato del 5% sul dollaro la debolissim­a lira turca (per poi ridimensio­narsi nel giro di qualche ora), non ha riportato la fiducia attesa ma ha aumentato la rabbia di Erdogan contrario a questa misura adottata dal- la BCT per tentare di bloccare l'inflazione galoppante arrivata a due cifre.

Gli economisti tuttavia avvertono che se la Turchia vuole evitare il ricorso a un prestito del Fondo Monetario Internazio­nale per arginare l'emorragia delle proprie riserve estere, deve procedere a un ulteriore rialzo. È per ora escluso che Erdogan possa accettarlo, dopo aver più volte criticato la logica del rialzo dei tassi di interesse come ciambella salvagente e attaccato pubblicame­nte l'indipenden­za della Banca Centrale. Fatto che ha destato nuove preoccupaz­ioni a livello internazio­nale perché è un altro segnale della deriva dispotica del presidente, che per far capire alle autorità monetarari­e chi comanda si è anche auto-nominato a capo del Fondo sovrano turco, costituito dopo il fallito golpe, mettendosi al fianco il genero Beirat Albayrak, l'attuale ministro del Tesoro e delle Finanze. Un altro problema dell'economia turca è la mancanza di un programma di sostegno fiscale a medio termine per banche e aziende. Erdogan inoltre ha “chiesto” alle autorità di controllo di investigar­e sull’attività del maggior partito di opposizion­e (Chp) nel consiglio di Isbank, il principale istituto di credito locale. La strategia economica e quella politica in Turchia ormai sono entrambe nelle mani del sultano.

Bloomberg ha dato notizia che il governo di Ankara si preparereb­be a presentare un piano di sostegno generale proprio per il sistema bancario al fine di scongiurar­e la mina dei non-perfoming loans (NPL), le sofferenze sui prestiti concessi, emersa con le peripezie della lira turca.

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Ansa Pugno fermo Il presidente Erdogan

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