“La questione catalana non si risolverà a breve”
Lo scrittore spagnolo: “Narro l’identità della ‘Terra maledetta’, il nazionalismo non c’entra”
Una terra ai confini dell’impero, depredata ogni sei anni, ultimi i Visigoti – “roba da far perdere a chiunque la voglia di vivere” – abbandonata dalla discendenza carolingia, non ancora preda del nemico Al-Andaluz. Lo scrittore alicantino Juan Francisco Ferrándiz, al suo terzo romanzo, architetta una vicenda epica dai tratti mitologici e insieme specchio bifronte della contemporaneità. Da un lato la Storia, quella della Marca Hispanica dell’IX secolo d. C. con Barcellona, maledizione di chiunque provi a conquistarla. Dall’altra il riscatto, la libertà, la resistenza dei suoi abitanti e di colui che – il vescovo Frodoino, realmente esistito – è chiamato a liberarla. Non prima di attraversare boschi infestati di creature semi-umane con un seguito di “perdenti” in cerca della terra promessa, donne indomite – “ho trovato documenti dell’epoca che attestavano la compravendita di terreni da parte femminile”, fino ad arrivare all’antica Barcino. “L’unica città della zona rimasta in piedi grazie all’identità catalana, che niente ha a che fare con l’indipendentismo”.
Come è arrivato a raccontare questa storia?
Casualmente, da un libro che parlava di questo periodo che non compare neanche nei libri di scuola. In Spagna, il momento storico dopo l’arrivo dei Visigoti e prima di quello di Al-Andaluz non è mai stata interessante. La colonna vertebrale della Storia spagnola sono la Conquista saracena e la Riconquista. Tutto gira intorno a questo, anche a livello letterario.
Perché?
Uno dei problemi è la scarsa documentazione. Per la “Terra maledetta” inoltre, è stato imprescindibile per me conoscere il catalano, lingua usata dalla maggior parte degli storici che hanno studiato quest’epoca.
La sua Barcellona è una città di frontiera. La storia si ripete.
Questo romanzo è ottimista. Racconta di una città condannata a sparire dalle mappe, che resiste grazie all’unione di più persone, pur con ambizioni diverse. Che poi è ciò di cui avremmo bisogno oggi.
Il contrario di ciò che sta succedendo in Catalogna un anno dopo il referendum per l’indipendenza da Madrid.
È un momento difficile. Quasi non si vede più il problema, ma solo l’orgoglio di non cedere. La situazione si è incancrenita. Non so se sarà questa la generazione che riuscirà a risolvere la questione catalana. Oltretutto, in un’epoca così complessa per l’intera umanità, questo sembra un litigio tra bambini, anche se chi ci crede lo prende seriamente.
Il genere del romanzo storico si lega molto alle questioni identitarie e nazionaliste.
Bisogna distinguere tra indipendentismo o nazionalismo e l’identità di un popolo. Mi piace sentirmi parte di una collettività che condivide lingua e usi: la traccia della identità catalana. I catalani sono un popolo particolare e io racconto quali furono le circostanze storiche che hanno ge- nerato in loro la coscienza di esserlo. Altra cosa è l’indipendentismo, i cui interessi sono altrove. In Spagna le identità regionali sono protette: ciascuna ha la propria lingua, una televisione pubblica, ecc. Andare oltre e dire ‘mi voglio separare’ è un’altra cosa. Lì entrano in gioco questioni politiche, economiche e il mio romanzo lì non arriva. Io parlo di persone che lottano per sopravvivere, cosa che crea un legame tra loro.
Nella Marca Hispanica c’è sempre un nemico.
Ogni sei o sette anni, Barcellona veniva attaccata e rasa al suolo. Era una zona terribile conquistata sessanta anni prima dal figlio di Carlo Magno con Al-Andaluz che riprovava a prenderla. La città resistette grazie alle mura romane, altrimenti ora sarebbe una zona archeologica.
Un paradosso: stiamo tornando ad alzare muri contro il “nemico”.
Le vecchie mura si abbatterono perché le città si espandevano, ma anche perché non lasciavano passare l’aria e quella dentro si imputridiva. Immaginiamo che l’aria siano le idee, senza muri si espandono, la gente si muove e le idee si contaminano e si rigenerano. Insomma, c’è un motivo perché quelle mura non esistono più. È incredibile come nel XXI secolo abbiamo perso la visione storica e abbiamo dimenticato questa lezione.
Forse lo riscopriremo con il suo libro.
Lo spero! Ma soprattutto spero che si capisca che il punto è sempre lo stesso: sopravvivere. Il conflitto catalano non è una questione di sopravvi- venza: i politici, che siano a favore o contro l’indipendentismo, a fine mese prendono lo stipendio e nessuno muore di fame. È importante ricordare questa differenza tra il secolo IX e il XXI.
Altro tema del suo libro sono i personaggi femminili. Tutte donne forti che hanno fatto la Storia.
Capire questo concetto mi pare il minimo. Che sia scritto sui libri di scuola o no, le donne hanno fatto la Storia.
È un periodo difficile per l’umanità: questo sembra un litigio tra bambini. E i politici prendono comunque lo stipendio a fine mese Racconto donne indomite e libere che hanno fatto la Storia, anche se non compaiono sui libri