Un giudice a Strasburgo: l’Italia si incarta
Commissione insediata dopo le domande, Palazzo Chigi interviene e chiede tempo
Cambia
il giudice italiano alla Corte europea dei Diritti dell’uomo: a maggio 2019 scade il mandato di Guido Raimondi, che negli ultimi tre anni ne è stato anche presidente. L’Italia doveva sostituirlo, indicando una prima terna di candidati entro il 6 settembre, ma il suo successore ancora non c’è: il nome è congelato tra i lavori di una commissione che forse non ha operato con sufficiente trasparenza e le richieste di chiarimenti di Palazzo Chigi, non troppo convinto dalla selezione.
E PENSARE che per la prima volta la Presidenza del Consiglio aveva indetto una procedura pubblica per scegliere il suo membro della Cedu. Parliamo della Corte le cui pronunce hanno avuto spesso ricadute importanti s ul l’Italia ( dalla sentenza Torreggiani sulle condizioni dei detenuti a quella sull’ecomostro Punta Perotti a Bari, per citarne due). Ognuno dei 47 Paesi firmatari ha il suo rappresentante: l’esecutivo nazionale propone una “short list” di tre nomi al Consiglio d’Europa e l’Assemblea ne elegge uno. In passato il governo esprimeva direttamente la sua terna, stavolta ha optato per un bando pubblico, come prevede una direttiva europea. Qualcosa, però, è andato storto.
La commissione si è insediata soltanto dopo la presentazione delle domande dei candidati: non il massimo della correttezza. Fra i “giurati” anche l’ex presidente della Consulta, Giuseppe Tesauro, e Vladimiro Zagrebelsky, già membro Cedu dal 2001 al 2010; la Farnesina, invece, aveva in- dicato due suoi funzionari (non proprio indipendenti rispetto al Ministero), altra circostanza che aveva fatto storcere il naso a qualcuno. Peggio è andata per i risultati. A Palazzo Chigi sono arrivate una sessantina di domanda: ex cassazionisti, professori ordinari, l’él it e del diritto italiano. La carica, del resto, è ambita, per prestigio e portafoglio. Chiari i requisiti: cittadi- nanza italiana, età inferiore a 64 anni, eccellente conoscenza delle lingue e competenza su diritti umani, diritto nazionale e internazionale. Meno chiaro è come sia avvenuta la selezione: la commissione si è riunita poche volte, non ha fatto colloqui ( possibilità prevista dal bando) e poi ha partorito la sua terna.
A comporla, secondo indiscrezioni, sarebbero i giu- dici Antonio Balsamo, Raffaele Sabato e Ida Caracciolo (quest’ultima nel 2017 era stata inserita nella Grande Chambre della
Cedu per decidere sul ricorso di Berlusconi contro l’incandidabilità). Solo un foglio con i tre nomi (ai candidati, tenuti all’oscuro di tutto, nemmeno quello), senza punteggi né spiegazioni.
ALLE VOCI sono seguite anche le polemiche: non tanto per la caratura dei presunti prescelti, quanto per le modalità di selezione. C’è chi denuncia una spartizione fra Ministeri (Esteri e Giustizia, che hanno scelto la commissione per quattro quinti) per una nomina po- litica invece che tecnica e chi minaccia ricorso. Perfino Palazzo Chigi ha deciso di intervenire, forse temendo che il caso scoppiasse davanti al Consiglio d’Europa con conseguente figuraccia internazionale: il governo ha chiesto un “a p p r ofondimento istruttorio” alla c om m is si o ne , da cui vuole almeno una motivazione. L’I t alia, comunque, non ne esce benissimo: ha dovuto chiedere a Strasburgo una proroga di un mese sulla scadenza del 6 settembre. Per ora la terna è congelata, sperando che le spiegazioni della commissione siano convincenti.
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