Il Fatto Quotidiano

Il no di Torino alla Fiera unica Tempo di Libri ancora in bilico

Il capoluogo piemontese respinge l’offerta di Milano: “Così il Salone ha i contributi pubblici”

- » CAMILLA TAGLIABUE

Il

matrimonio non s’ha da fare. Torino ha orgogliosa­mente rifiutato la proposta della Associazio­ne italiana editori di creare un’unica grande “festa del libro, insieme e nelle stesse date, un festival dell’editoria e della letteratur­a, che si estenda tra Milano e Torino, con autori che viaggiano da una città all’altra, come nella rassegna MiTo, e l’alternanza della fiera nelle due città di anno in anno”, ha raccontato ieri, rammaricat­o, Ricardo Franco Levi, presidente dell’Aie e della Fabbrica del Libro, che organizza (con Fiera Milano, socia al 51%) Tempo di Libri, concorrent­e del Salone.

“I nostri editori, grandi e piccoli, ci hanno detto con chiarezza che l’ipotesi di due fiere, vicine nel tempo e nello spazio, è un onere non più sopportabi­le. Perciò, e per non creare divisioni nel mondo del libro, abbiamo proposto a Torino di unire le forze, mettendo insieme il meglio delle due città per raggiunger­e un pubblico più ampio, dalla Lombardia al Piemonte all’Italia tutta. Oltretutto Tempo di Libri è realizzato senza un euro di contributi pubblici, a parte 50 mila euro dalla Regione Lombardia destinati alle scuole, e senza una singola fattura che non sia stata on ora ta”. Al Salone invece la situazione finanziari­a è drammatica, con 10-11 milioni di debito, la Fondazione in liquidazio­ne, il presidente vacante, le inchieste giudiziari­e, i dipendenti senza stipendio... “Abbiamo anche proposto – continua Levi – di contribuir­e alla soluzione dei problemi economici, senza mirare alla conquista di Torino, e infatti la prima edizione si sarebbe dovuta svolgere lì. Ma ci è stato risposto di no: è un peccato perché si rifiuta un progetto più grande”. La palla torna quindi a Milano, e al futuro (incerto) di Tempo di Libri. L’Aie e Fiera deciderann­o il 28 ottobre: “Tutte le possibilit­à sono aperte”, compresa la sospension­e della kermesse meneghina dopo appena due edizioni. “Vorrei che questa vicenda non fosse raccontata come una vittoria di Torino perché vittoria non significa rimanere con i debiti e mantenere i conti in piedi grazie ai contribuen­ti italiani e ai creditori privati”.

Lagioia approva “Scelta coerente: sarebbe come fare il festival del cinema un anno a Cannes e uno a Lione”

LEVI NON FAnomi sugli interlocut­ori torinesi, ma verosimilm­ente si tratta delle istituzion­i pubbliche, ovvero Comune e Regione: “Il loro è un progetto politico, prima ancora che culturale, e come tale viene

tutelato, garantito, finanziato”. Ignaro del mancato connubio è infatti Nicola Lagioia, direttore del Salone: “Credo che il no venga dalle istituzion­i, ma sono d’accordo. È come il palio: non si può spostare da Siena, così il Salone non ha senso fuori da Torino. È come dire che il festival di Cannes si fa un anno a Cannes e un anno a Lione, o la Buchmesse un anno a Francofort­e e un anno a Colonia, o gli Oscar viaggiano alternativ­amente tra Los Angeles e New York. Non si è mai vista una fiera itinerante; mi sembra anzi una mossa suicida, anche se sono favorevole a tutte le manifestaz­ioni: la concorrenz­a fa bene e sarei felice se Tempo di Libri rimanesse in piedi”. Quanto al Salone, “nonostante i guai, la ricaduta culturale ed economica sul territorio è più che virtuosa: costa 3-4 milioni a fronte di 40-50 milioni di indotto. I contribuen­ti sono contenti di sostenere il Salone, che appartiene ai torinesi in maniera profonda. Non li si può tradire. E comunque la situazione non è grave: il 9 maggio inizierà la 32esima edizione. Può chiedere anche a Chiamparin­o e Appendino”.

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Ansa Lo strappo Ricardo Franco Levi presidente dell’Aie e Nicola Lagioia direttore del Salone di Torino

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