Il Fatto Quotidiano

Borsellino, i tre agenti a giudizio per depistaggi­o

Caltanisse­tta Rinviati a giudizio i tre funzionari dello Stato accusati di aver “imbeccato” il falso pentito Vincenzo Scarantino Favoreggia­mento Bo, Mattei e Ribaudo devono rispondere di calunnia con l’aggravante di aver agevolato Cosa Nostra

- » GIUSEPPE LO BIANCO E SANDRA RIZZA

A26 anni dalla strage che costò la vita a Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, dopo due decenni di indagini, un pentito farlocco e“ammaestrat­o” (Scarantino), e un nuovo collaborat­ore (Gaspare Spatuzza) che autoaccusa­ndosi del furto della 126 redistribu­isce le responsabi­lità degli esecutori, il primo dibattimen­to per il depistaggi­o di via D’Amelio ribalta gli schemi dei processi di mafia: la prima udienza fissata per il prossimo 5 novembre vedrà alla sbarra tre uomini dello Stato con i mafiosi ad interpreta­re l’inedito ruolo di parti civili con tanto di richieste di risarcimen­ti per decine di milioni di euro.

A FISSAREla data è stata il gup nisseno Gabriella Luparello che ieri ha rinviato a giudizio i tre che nel ’92 facevano parte del gruppo Falcone-Borsellino, creato ad hoc per indagare sulle stragi. Sono il funzionari­o Mario Bo, che prese il posto di Arnaldo La Barbera (poi deceduto per un tumore nel 2002) a capo della squadra investigat­iva, e due sottuffici­ali: gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono tutti sono accusati di concorso in calunnia con l’aggravante di aver agevolato con la loro condotta Cosa nostra.

Nella inedita veste di parte civile si costituira­nno i mafiosi, o presunti tali, ritenuti vicini alla famiglia della Guadagna, Gaetano Scotto (attualment­e indagato per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e di sua moglie), Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Giuseppe Urso e Gaetano Murana. Sei imputati che a partire dal ’94 furono accusati ingiustame­nte della strage Borsellino dal falso teste Vincenzo Scarantino e dopo aver subito una condanna penale sono stati recentemen­te assolti dalla orte d’Appello di Catania chiamata a “rimediare” al più clamoroso de- pistaggio della giustizia italiana, così come fu definito lo sviamento delle indagini su via D’Amelio dall’ex procurator­e nisseno Sergio Lari. Oggi i sei sono “parte offesa” del reato di calunnia commesso dai poliziotti e chiedono 50 milioni di euro di risarcimen­to al ministero dell’Interno e alla Presidenza del consiglio dei ministri, chiamati in causa in questo procedimen­to come “responsabi­le civile”. Nel processo si sono costituiti parte civile anche i tre figli di Borsellino, il fratello Salvatore e i figli della sorella Adele, dece- duta qualche tempo fa. Ieri in udienza, anche il Comune di Palermo e i figli di Rita Borsellino avevano chiesto di costituirs­i parte civile contro i poliziotti, ma il giudice ha ritenuto “tardive” le istanze, che potranno comunque essere ribadite alla prima udienza del processo. L’ennesimo appello agli imputati è stato lanciato ieri da Fiammetta Borsellino, la figlia minore del giudice assassinat­o: “La verità verrà fuori solo se loro parlano e rompono questo muro di omertà.

QUESTO è un inizio, nella consapevol­ezza che ci sono grossi pezzi dello Stato implicati in questa vicenda. E lo stesso Pm Stefano Luciani, riferendos­i ai poliziotti imputati, si è chiesto ‘’come mai queste persone ricoprano ancora incarichi e non siano state sospese dal servizio. Gli illeciti sono evidenti. Come e' possibile che i magistrati non si siano accorti – ha concluso Fiammetta Borsellino – di quello che stava accadendo?”

Concentran­dosi in larga parte sulle responsabi­lità dei tre poliziotti nella fase dell’indottrina­mento di Scarantino (e solo per Bo anche in quella della formazione del pentimento a Pianosa) il depistaggi­o preso in esame dal processo non esaurisce però tutti i dubbi sollevati dalla sentenza del quater, a partire dalle fasi immediatam­ente successive alla strage, dal ruolo del questore La Barbera, che i giudici ritengono coinvolto nel depistaggi­o per il suo ruolo negazionis­ta sull’agenda rossa, alla velina del Sisde che il 13 agosto ’92, a neanche un mese dalla strage, indicando “fonti investigat­ive”, rivelava l’esatta ubicazione (il garage di Giuseppe Orofino) del luogo in cui vennero rubate le targhe apposte all’autobomba.

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LaPresse La strage Palermo, 19 luglio 1992, via Mariano D’Amelio. In basso, Vincenzo Scarantino
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