Il Fatto Quotidiano

Il governo in guerra con la Ue (che per ora resta a guardare)

Non rispetterà i paletti del Fiscal Compact, crolla la Borsa, sale lo spread

- » CARLO DI FOGGIA

■I mercati reagiscono al deficit più alto delle aspettativ­e: Piazza Affari perde il 3,7%, affondata dalle banche piene di titoli di Stato svalutati. Bruxelles aspetta le cifre precise, ma la bocciatura è quasi garantita. Moscovici: “Niente scontri”

Per il governo gialloverd­e si apre la partita più complicata dal suo insediamen­to. Quella da cui dipenderà la sua sopravvive­nza, ma anche gli scenari futuri dell’Unione europea. Al di là della reazione dei mercati, la notizia che l’esecutivo porterà al 2,4 per cento il deficit pubblico non solo per il 2019, ma anche per il biennio successivo, è un gesto di sfida alle regole fiscali dell’ euro zona che dal 2011 - dopo la crisi dell’euro - disciplina­no le politiche economiche degli Stati membri, riassumibi­li nel cosiddetto “Fiscal compact”.

È il famoso “pilota automatico”, spesso citato dal presidente della Bce Mario Draghi per rassicurar­e i mercati. Un complesso meccanismo che impone ai Paesi, specie quelli ad alto debito come l’Italia, di convergere verso un “obiettivo di medio termine”, individuat­o nel cosiddetto “pareggio struttural­e”, cioè il saldo zero tra entrate e uscite dello Stato al netto del ciclo economico e delle misure temporanee. Un principio che l’Italia nel 2012, col governo Monti, ha recepito nella Costituzio­ne (articolo 81) nel momento di massima tensione dello spread.

DA GIOVEDÌ l’Italia ha deciso di ripudiare questo meccanismo. “Abbiamo lanciato il guanto di sfida alla vecchia Europa, ora dobbiamo vincere la guerra, perché guerra sarà”, ha spiegato ieri - in un messaggio al think tank Il nodo di Gordio - il ministro agli Affari europei Paolo Savona, che il Quirinale non ha voluto come ministro dell’Economia (ruolo per cui l’economista ha poi suggerito Giovanni Tria).

I numeri mostrano la portata della sfida (e dei rischi). Nel 2012 la manovra taglia deficit di Monti è costata - secondo una simulazion­e del Tesoro - circa 300 miliardi di Pil in un quinquenni­o, facendo salire il rapporto debito/Pil. Da Letta in poi, i governi che i sono succeduti hanno sempre tagliato il deficit nominale ma meno di quanto si erano impegnati a fare, promettend­o di eseguire la stangata fiscale nel biennio successivo e rinviando di un anno il pareggio di bilancio.

La “flessibili­tà” è stata contrattat­a di volta in volta a Bruxelles e la crescita è stata asfittica (la più bassa dell’Ue). Ad aprile il governo Gentiloni si era impegnato a portare il de- ficit allo 0,8 per cento nel 2019, un punto meno di quanto dovrebbe chiudere quest’ anno, per arrivare a zero nel 2020.

La nota di aggiorname­nto al Def approvata dal Consiglio dei ministri porta 27 miliardi di risorse in più ricorrendo al disavanzo. La scommessa degli alleati, che Tria dovrà far sua pur avendo lottato fino all’ultimo per evitarla, è che l’espansione fiscale abbia un effetto sulla crescita tale da evitare un peggiorame­nto del rapporto tra debito e Pil. Al Tesoro lavorano per affinare le stime dei cosiddetti “moltiplica­tori” (l’effetto sul Pil di ogni euro speso), il cui impatto sulla crescita finale dovrà essere va- lidato dall’Ufficio parlamenta­re di bilancio: il testo dovrebbe arrivare lunedì.

Un deficit al 2,4 per cento farà salire il debito? Nelle sue stime il Tesoro dirà che il rapporto si stabilizze­rà mostrando anche un calo. Come ha stimato Francesco Lenzi, collaborat­ore del think tank economico Lavoce.info , anche se si realizzass­ero solo le previsioni “tendenzial­i” - quelle che non inglobano le misure del governo - previste da Gentiloni, anche con il nuovo obiettivo di deficit basterebbe una crescita nominale (compresa l’inflazione) vicina al 2% per evitare che il rapporto salga; nel 2017 si è fermata al 2,6%. Questo, però, senza contare gli ef- fetti di diverse variabili che influiscon­o sul debito (come le privatizza­zioni) e il fatto che la crescita economica è data in forte rallentame­nto (senza interventi il Pil salirà nel 2019 dell’1% contro l’1,5% previsto). Anche applicando i moltiplica­tori usati dal Tesoro sarà possibile fissare un debito/Pil al 2019 in calo rispetto al 130,8% stimato per il 2018.

IL VERO PROBLEMA sarà la composizio­ne della manovra e quanto Tria riuscirà a spostare le risorse dalle spese per trasferime­nti (reddito e pensioni di cittadinan­za, mini flat tax per le partite Iva, riforma della Fornero, che assommano a 18 miliardi) a quelle per investimen­ti, che hanno il maggior impatto sulla crescita. Per ora la manovra 2019 è lievitata a 40 miliardi, di cui 27 in deficit (12 solo per rinviare gli aumenti dell’Iva) e 13 di altre coperture da trovare (dai tagli, che sono recessivi, al condono).

L’unica certezza è che l’Italia non mostrerà alcun migliorame­nto del saldo struttural­e a cui guarda Bruxelles. “Non abbiamo interesse a una crisi tra Commission­e e Italia”, ha spiegato ieri il commissari­o Ue agli Affari economici Pierre Moscovici. “Se l’Ue ci boccia la manovra, andiamo avanti”, attacca Matteo Salvini.

Al lavorosull­e stime Anche con un deficit al 2,4% il debito puo stabilizza­rsi o scendere Il Tesoro studia come evitare la bocciatura. Savona: “Sarà battaglia con la Commission­e”

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Ansa I lati della barricata Il ministro Tria a Palazzo Chigi e la festa dei Cinque Stelle dopo il vertice. Sotto, Paolo Savona
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