Il Fatto Quotidiano

Sorpresa: a sinistra c’è chi applaude

La difficile sopravvive­nza tra la retorica dei tifosi dello spread e quella gialloverd­e

- » MARCO PALOMBI

La

via intellettu­almente più complessa per fare opposizion­e al governo gialloverd­e sulle politiche economiche è quella che tocca - forse non paradossal­mente - alla sinistra ovunque residuata nel Paese al netto del tracollant­e equivoco noto come Partito democratic­o. Questa sinistra s’è a lungo spesa contro il Fiscal compact - cioè quell’insieme di regole che impongono ai Paesi dell’Eurozona il pareggio di bilancio a tappe forzate - e il pareggio di bilancio in Costituzio­ne (la Cgil provò addirittur­a la via del referendum) e ora non può reagire come un renziano qualunque (“pazzi ir resp onsa bili ”) alla prima manovra almeno un po’ espansiva da molti anni.

IL FILO retorico su cui deve camminare quest’area politica è sottile. Si va dall’autodafé di Michele Emiliano (“c’è da chiedersi come è possibile che nel passato la sinistra ufficiale non sia riuscita a fare manovre del genere”) alla formula “sì, ma...” in vigore nella maggior parte di LeU: “Il problema non è utilizzare il deficit in sé (...) Il punto è cosa ci fai con quel deficit”, scrive Nicola Fratoianni. “Non saremo certo noi a stracciarc­i le vesti per lo sforamento del deficit in sé (...) Il problema è come vengono usate le risorse”, fa eco la senatrice Loredana De Petris. E che bisognava farci? “Un robusto piano di investimen­ti pubblici” (Fratoianni) e, invece, “lo sforamento sarà utilizzato per la spesa corrente”(De Petris). Peccato che poi si denunci un taglio della spesa corrente previsto nel Def (circa 5 miliardi) come un taglio al welfare e sempre lì dentro siano previste pure misure definite “condivisib­ili“: “La quota 100 nella Fornero, il reddito di cittadinan­za, l’aumento delle pensioni minime” (De Petris). Insomma, no alla flat tax della Lega e il resto può andare.

Potere al Popolo, invece, è su una posizione più aggressiva: “Siamo contro il governo perché rispetta il 3% di deficit dell’Ue e vuole abolire la po- vertà ma intanto decreta la prigione per i poveri. Contro l’ingiustizi­a sociale il Def è poco, non troppo”, detta la linea l’ex sindacalis­ta Giorgio Cremaschi. Il profilo twitter di PaP rilancia - contro “i tifosi dello spread e quelli del debito” - un articolo dell’economista Emi- liano Brancaccio di qualche giorno fa che bocciava i vari “fronti” elettorali anti-populisti proposti in zona Pd: “Appelli sbagliati.

L’an ti fa sc is mo liberista e deflazioni­sta di Macron e dei suoi epigoni è un ossimoro, è una contraddiz­ione in termini. È un’ipocrisia politica ed è un fallimento annunciato”.

SCOMODA assai la posizione di chi stava nel Pd e tenta di far valere il proprio percorso senza le necessarie precauzion­i retoriche. L’ex deputato Alfredo D’Attorre (LeU) s’è dovuto difendere su Twitter: “Sono stato rimprovera­to per aver parlato di ‘opposizion­e anti-italiana’. Ma come definire quella parte di opposizion­e che si ispira a Macron, il quale innalza il deficit al 2,8%, ma in Italia chiede che il deficit venga ridotto sempre di più? È assurdo polemizzar­e con il governo perché trasgredis­ce il Fiscal Compact”.

Ancor più netto il suo amico Stefano Fassina: “Si apre una inedita partita. Finalmente, ritorna il primato della politica sull’economia, condizione necessaria, ahimé non sufficient­e dati i rapporti di forza interni e esterni, al primato della sovranità costituzio­nale. La cosiddetta sinistra da che parte sta? Continua ad affidarsi al Generale Spread per miopi illusioni elettorali?”. Una strada sottile, forse troppo.

Posizionam­enti Si va dall’autodafé di Emiliano (“non potevamo farlo noi?”) al pezzo di LeU la cui linea è “sì, però...”

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LaPresse Emiliano del Pd, Cremaschi di Pap e Fassina di LeU
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Tre tipi
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