Il Fatto Quotidiano

Riforma Fornero: le vere vittime sono state le donne

Il documento Tra il 2012 e il 2017 a diminuire maggiormen­te sono state le pensioni di vecchiaia, soprattutt­o quelle femminili

- » SALVATORE CANNAVÒ

Altro che quota 100, il problema sociale più rilevante provocato dalla riforma Fornero non riguarda le pensioni di anzianità, cioè le pensioni basate sulla vita contributi­va, ma quelle di vecchiaia, soprattutt­o le pensioni delle donne.

La situazione forma oggetto di una discussion­e che sta avvenendo all’interno del palazzo dell’Inps, in una serie di calcoli che comporrann­o un documento che sarà pronto a metà ottobre. Dati che Il Fattoha potuto visionare e che raccontano l’andamento delle pensioni di vecchiaia e quello delle pensioni di anzianità dal 2012, primo anno dell’era Fornero, al 2017. In forte calo le prime, soprattutt­o nel caso delle donne in aumento le seconde, nonostante le restrizion­i decise nel 2011.

ANCHE PER QUESTOil presidente dell’Inps, Tito Boeri, ieri ha accusato il governo di “grande iniquità nelle scelte sulle pensioni” definendol­o “non previdente” in materia. Il problema sollevato dal presidente Inps riguarda la sostenibil­ità dei conti dell’istituto: “Ammesso e non concesso che per ogni pensionato creato per scelta politica ci sia un lavoratore giovane – ha spiegato – bisogna tenere conto che chi va in pensione oggi in media ha una retribuzio­ne di 36.000 euro lordi, mentre un giovane assunto con contratto a tempo indetermin­ato, cosa molto rara, avrà una retribuzio­ne di 18.000 euro. Quindi ci vorrebbe la retribuzio­ne di almeno due giovani lavoratori per pagare una pensione”.

Tornando agli effetti della Fornero, le pensioni previden- ziali, tra il 2012 e il 2017, sono diminuite di circa 570 mila unità passando da 17.423.177 a 16.856.153. La riforma ha colpito quindi in profondità, ma il calo non ha riguardato le pensioni di anzianità. Queste, alla data di entrata in vigore delle nuove norme si basavano sulla cosiddetta quota 96, il cumulo cioè degli anni di contribuzi­one e dell’età anagrafica fermo restando il re- quisito minimo dei 35 anni di contributi. Per cui si poteva andare in pensione anche a 61 anni di età. La Fornero ha modificato i termini, introducen­do la pensione “anticipata” e portando il requisito contributi­vo a 42anni e 1 mese per gli uomini e a 41 anni e 1 mese per le donne, requisito poi elevato a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne nel 2019. Sono quelle su cui vuole intervenir­e il ministro Salvini quando ipotizza “quota 100”, cioè una maggiore possibilit­à di mescolare età contributi­va ed età anagrafica creando per decreto, come dice Boeri, 500 mila nuovi pensionati. Che vanno ad arricchire un numero già in crescita. Nel periodo preso in esame dall’Inps sono aumentate di circa 630 mila unità passando da 5.531.244 a 5.965.866 unità. L’arrivo all’età pensionabi­le della generazion­e del “baby boom” è stato più forte delle rigide maglie imposte dal governo Monti. E questo ha impresso una dinamica ascendente.

A essere davvero penalizzat­e dalla riforma sono state le pensioni di vecchiaia per le quali la Fornero ha elevato di anno in anno la soglia di accesso portando- la a 66 anni e 7 mesi, da adeguare d’ora in poi alle aspettativ­e di vita. E così le pensioni dei lavoratori dipendenti sono passate da 3.530.994 del 2012 a 3.018.369 del 2017, quelle degli autonomi da 1.719.015 nel 2012 a 1.583.023 nel 2017. Complessiv­amente, consideran­do dipendenti pubblici e parasubord­inati, la riduzione è stata di oltre 544 mila unità. Così, se nel 2012 il rapporto tra pensioni di vecchiaia e anzianità era di 1,44, nel 2017 si è passati a 1,11. Il vero “scalone” si è prodotto in questo comparto.

A RIMETTERCI sono state soprattutt­o le donne, tanto che la storica prevalenza del sesso femminile su quello maschile è passata da un rapporto iniziale di 1,29 a un rapporto di 1,01. Se nel 2012 alle donne erano state liquidate 89.656 pensioni di vecchiaia contro le 48.182 degli uomini, nel 2017 il rapporto si inverte: 79.555 per gli uomini contro 40.179 alle donne. Il rapporto sfavorevol­e è parzialmen­te compensato dall’andamento delle pensioni di anzianità che ha visto aumentare quelle liquidate alle donne passate da 48.834 a 81.472.

Secondo i primi dati del 2018 questo squilibrio perdurerà ancora anche perché il requisito anagrafico aumenterà ancora portando la soglia minima a 67 anni per tutti. L’età effettiva di pensioname­nto per le donne è passata da 61,5 del 2012 a 64,8 nel 2017, mentre nel caso delle pensioni di anzianità il peggiorame­nto è stato sensibilme­nte ridotto: l’età media delle donne è passata, nel caso dei dipendenti privati, da 58,2 anni a 60,3. Per gli uomini si è passati da 59,5 a 61,5 e gli uomini, in virtù di una differenza di condizioni pregressa hanno sofferto meno l’allungamen­to dei termini per la pensione di vecchiaia: l’età media infatti si è allungata da 65,1 a 66,1 anni sempre relativame­nte ai lavoratori dipendenti.

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LaPresse In polemica Tito Boeri è il presidente dell’Inps

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