Il Fatto Quotidiano

La cittadinan­za e i diritti umani nell’antica Roma

- » ORAZIO LICANDRO

Su un aspetto il governo gialloverd­e ha messo tutti d’accordo: dalle opposizion­i alla Chiesa cattolica, dalle organizzaz­ioni sindacali al volontaria­to e ai professori che hanno guidato il fronte contrario alla sciagurata riforma costituzio­nale perseguita da Renzi, forte e univoca è stata la voce che si è levata contro il decreto sicurezza Salvini. Oltre a essere un maleodoran­te pentolone dove i migranti si mescolano con terroristi e mafiosi, in una sorta di Milleproro­ghe della paura e dell’odio, quel decreto contiene una misura odiosa, anzi aberrante, cioè la revoca della cittadinan­za a coloro che, avendola ottenuta, commettono certi reati. Un arretramen­to spaventoso sul piano del principio di uguaglianz­a e, pertanto, di un fondamenta­le della civiltà giuridica in assoluto, che ne profila una sicura incostituz­ionalità. Persino nell’antica Roma dinanzi al civis si usava una estrema prudenza. Il cittadino poteva perdere la cittadinan­za perché caduto in prigionia bellica; ma qualora fosse riuscito a rientrare in patria la riacquista­va. Poteva, poi, anche perderla per quei crimini per i quali era comminata la pena capitale. Tuttavia, non solo ciò valeva per ogni

civis e non soltanto per quelli di cittadinan­za più recente, ma si riconoscev­a comunque al cittadi- no la possibilit­à di sottrarsi anche alla pena di morte con la facoltà di scegliere, sia pure un attimo prima della pronuncia della sentenza da parte dei comizi popolari, di andare in volontario exilium. L’Italia si trova in un tornante insidioso, e tutto occorre salvo continuare ad alzare la tensione o segnare il passo sul piano dei diritti della persona.

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