CHI DERIDE CONTE FA SOLTANTO IL GIOCO DEI BULLI
“MAI ERA ACCADUTO nella storia politica non solo dell’Occidente che un primo ministro si riducesse a sandwich-man di un suo ministro”.
Massimo Cacciari commenta sull’”Espresso” l’immagine di Giuseppe Conte che, accanto a Matteo Salvini, esibisce un “cartiglio a eterna memoria di un epocale decreto” su sicurezza e immigrazione.
MOLTO SI RIDE di Giuseppe Conte ma, probabilmente, molto Giuseppe Conte se la ride. Si sghignazza quando Maurizio Crozza lo immagina nei panni del cameriere dei suoi vice mentre prepara loro la spremutina e taglia i bordi dei tramezzini, “perché a Luigi piacciono così”. Un florilegio di gag, tutte giocate sull’avvocato pugliese miracolato (e un po’ imbranato) che si perde i fogli del discorso alle Camere, timoroso del suo dante causa Di Maio, sorvegliato a vista dal portavoce Casalino, che non a caso guadagna più di lui. In questa diffusa macchiettistica resta difficile obiettare che nella Costituzione italiana il presidente del Consiglio si chiama così perché ha un ruolo preminente di coordinamento, storicamente condizionato dal peso politico dei singoli ministri. Mentre, in genere, la figura del “Primo Ministro” esercita sull’azione di governo una maggiore propulsione (come in Inghilterra), derivante dalla forza del partito vincitore di cui è il leader. Sottigliezze che basta la gaffe giornaliera a spazzare via: la foto da uomo sandwich di Salvini se la poteva risparmiare. Tuttavia, al Conte avvocato della Magna Grecia dirà certamente qualcosa il Giano Bifronte, figura mitologica che può guardare il futuro e il passato. Ma anche, come dio della porta, sia all’interno che all’esterno. Nel suo caso, come sappiamo molto meglio all’esterno dove ri- scuote una certa simpatia – da Trump a Macron – forse per la sua aria da bravo italiano in gita (ma se non conti una mazza certi squali non stanno certo a perdere tempo con te).
A osservarlo meglio, poi, quel sorrisetto perennemente stampato, più che l’espressione dello sprovveduto fa venire in mente quella parolina sudista, sicuramente nota in quel di Volturara Appula: babbiare. Perché a prendere in giro il prossimo che lo prende in giro “l’avvocato del popolo” potrebbe ricavarne un certo gusto: egli, comunque, tomo tomo cacchio cacchio (direbbe Totò) a Palazzo Chigi c’è arrivato.
Se è per questo anche alla cattedra universitaria, grazie al convinto sostegno del suo maestro e “coinquilino” Alpa. Sorprende, infine, l’uso impolitico del gratuito dileggio da parte di chi pure nell’arte della politica è maestro. Lontano dagli atteggiamenti, spesso inutilmente aggressivi dei dioscuri, Conte fa valere il proprio limitato ruolo istituzionale con modi cortesi e inclini alla moderazione. Apprezzati al Quirinale dove l’interlocuzione con il presidente del Consiglio sembra funzionare e produrre risultati. A dimostrazione che nelle stanze del potere i voti non sempre sono tutto. Alla luce della solidità della maggioranza gialloverde non si comprende dunque quale interesse abbiano le teste pensanti del centrosinistra a trattare Conte con malcelato disprezzo. A sbattergli in faccia la porta (o fosse anche la porticina) di un possibile dialogo, ci guadagna solo la politica dei bulli.