Se non ci sono le condizioni per la caccia, si può abolire
Non si può morire a 18 anni perché fai una passeggiata nei boschi con il cane, restare uccisi o feriti mentre giochi nel cortile di casa con i bambini, cerchi funghi, vai in bici o svolgi una delle tante attività all’a- ria aperta che richiamano sempre più italiani. La diffusione, enorme, di vere e proprie armi “da guerra”, usate per la caccia agli ungulati, ha trasformato il nostro paese in un campo minato dove, di fatto, fino alla chiusura della stagione venatoria, viene sospeso il diritto costituzionale a fruire del patrimonio ambientale di tutta la comunità. Questo tema da anni non rientra più tra quelli all' attenzione di stampa e politici, anche se la caccia in Italia uccide ogni anno decine di persone. Nel totale disinteresse, in meno di un mese di caccia abbiamo avuto non solo diversi morti, tra cui il terribile caso di Nathan a Ventimiglia, ma decine e decine di casi di uccisioni di specie particolarmente protette come il piccolo capovaccaio, forse l’ultimo della sua specie in Italia, oltre a falchi pescatori, rapaci di ogni specie e tanti altri animali, sopravvissuti alle trasformazioni del territorio e all’in- quinamento, che la caccia sta decimando in modo insostenibile. La caccia non è un diritto ma una concessione che fa lo Stato, sottoponendola a specifiche condizioni. Se, come è evidente, il rispetto di queste condizioni non c’è più anche perché nessuno le fa più rispettare, non ci sono più le condizioni per l’esercizio di questa attività in un territorio urbanizzato e vissuto come il nostro.