Il Fatto Quotidiano

Se non ci sono le condizioni per la caccia, si può abolire

- FRANCESCO MARIA MANTERO

Non si può morire a 18 anni perché fai una passeggiat­a nei boschi con il cane, restare uccisi o feriti mentre giochi nel cortile di casa con i bambini, cerchi funghi, vai in bici o svolgi una delle tante attività all’a- ria aperta che richiamano sempre più italiani. La diffusione, enorme, di vere e proprie armi “da guerra”, usate per la caccia agli ungulati, ha trasformat­o il nostro paese in un campo minato dove, di fatto, fino alla chiusura della stagione venatoria, viene sospeso il diritto costituzio­nale a fruire del patrimonio ambientale di tutta la comunità. Questo tema da anni non rientra più tra quelli all' attenzione di stampa e politici, anche se la caccia in Italia uccide ogni anno decine di persone. Nel totale disinteres­se, in meno di un mese di caccia abbiamo avuto non solo diversi morti, tra cui il terribile caso di Nathan a Ventimigli­a, ma decine e decine di casi di uccisioni di specie particolar­mente protette come il piccolo capovaccai­o, forse l’ultimo della sua specie in Italia, oltre a falchi pescatori, rapaci di ogni specie e tanti altri animali, sopravviss­uti alle trasformaz­ioni del territorio e all’in- quinamento, che la caccia sta decimando in modo insostenib­ile. La caccia non è un diritto ma una concession­e che fa lo Stato, sottoponen­dola a specifiche condizioni. Se, come è evidente, il rispetto di queste condizioni non c’è più anche perché nessuno le fa più rispettare, non ci sono più le condizioni per l’esercizio di questa attività in un territorio urbanizzat­o e vissuto come il nostro.

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