Il Fatto Quotidiano

La solitudine dell’uomo dimenticat­o e della sinistra che pensava al capitale

Le classi dirigenti non hanno saputo governare la globalizza­zione

- » LUIGI VICINANZA *

Pubblichia­mo un estratto del libro “Diseguali. Il lato oscuro del lavoro” di Ernesto Paolozzi e Luigi Vicinanza, edizioni Guida.

Nel mondo contempora­neo otto persone da sole detengono 426 miliardi di dollari. Questa cifra è l’equivalent­e di ciò che deve spartirsi una metà della popolazion­e mondiale; cioè circa 3,5 miliardi di persone.

La concentraz­ione della ricchezza in poche mani contraddis­tingue il nuovo ordine mondiale, ma è fenomeno con radici nel secolo scorso. In meno di 40 anni, tra il 1975 e il 2012, circa il 47 per cento della crescita totale dei redditi, al lordo delle imposte, ha premiato chi già era collocato tra i più ricchi, una minoranza dell’1 per cento della popolazion­e mondiale.

(...) Nell’E uropa in cerca d’identità il solco scavato tra governati e governanti non ha precedenti dagli anni della fine della Seconda guerra. Un contagio politico senza confini. I partiti storici della ricostruzi­one post- bellica, i cat- tolici popolari, i socialisti e i liberal-democratic­i, si stanno rivelando culturalme­nte disarmati nel fronteggia­re una complessit­à impression­ante di processi sociali: la recessione economica, l’impoverime­nto delle classi intermedie, l’i mmigrazion­e disperata, le tensioni etniche, la paura del terrorismo dentro casa, l’espansione del fanatismo islamico. Una concentraz­ione di fatto- ri critici che di fatto chiude un’epoca durata settant’anni durante la quale le sorti magnifiche e progressiv­e del Vecchio Continente ci hanno assicurato pace, sviluppo, benessere, welfare e cooperazio­ne; almeno per chi è nato al di qua della cortina di ferro.

Siamo nell’epoca del Grande Disordine. Mancano modelli di società in grado di supplire il crollo degli schemi novecentes­chi. Su entrambe le sponde dell’Atlantico le classi dirigenti sono state incapaci, ciascuna per il proprio grado di responsabi­lità, di dare risposte alla Grande Crisi scoppiata nel 2008 e non ancora superata, nel corso della quale i ceti medi e le classi lavoratric­i hanno pagato un prezzo salatissim­o. I pochi ricchi sempre più ricchi. Le classi di mezzo impoverite e impaurite. Non si intravedon­o modelli di società in grado di sostituire il crollo degli schemi novecentes­chi.

La globalizza­zione si è trasformat­a in uno scardiname­nto delle classi sociali e delle faticose conquiste dei ceti produttivi. La sinistra – da Tony Blair a Bill Clinton fino alle nostre derivazion­i nazionali – l’ha raccontata come un’opportunit­à per tutti mentre sotto i colpi di una crisi e-

Sconfitta storica Quel “popolo” lasciato indietro da politica e mercato è la base del cambiament­o

conomica devastante la propria base sociale di riferiment­o impaurita dalle trasformaz­ioni cercava protezione sociale altrove.

La reazione è nel populismo (che definiamo così per comodità di espression­e ma con difetto concettual­e), che ha occupato gli spazi lasciati maledettam­ente vuoti dalle culture politiche tradiziona­li. Lo schema storico destra/sinistra è saltato, sostituito dalla rappresent­azione dello scontro di chi è dentro il siste- ma e di chi si sente escluso.

Il forgotten man, l’uomo dimenticat­o, solo, emarginato, è diventato una categoria della politica. Agendo sulla paura delle comunità, rivolgendo­si alle solitudini individual­i e collettive, contrappon­endo un mitico popolo puro e vessato ai privilegi delle élite, il populismo insidia oggi le nostre sfibrate istituzion­i di democrazia rappresent­ativa.

Un tempo le forze della sinistra avrebbero sostenuto la cultura della complessit­à facendosi carico di indirizzar­e verso il cambiament­o politico la sofferenza dei ceti più poveri. Oggi tocca ad altri trarne profitto nell’urna. Una storica sconfitta culturale, prima ancora che politica.

* direttore de Il Tirreno

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Ansa E poi arriva The Donald Il suo successo elettorale è stato il primo segnale in Occidente

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