Il Fatto Quotidiano

Il candidato Richetti esattament­e a metà tra Matteo e Renzi

- » ANDREA SCANZI

Matteo Richetti si è ufficialme­nte candidato al ruolo di segretario del Pd. Nulla di clamoroso: prevederlo era facilissim­o. Il Matteo dotato del Pd, con quel suo tono furbamente autocelebr­ativo, ha detto: “Mi hanno chiesto se fossi matto. La vera follia è starsene con le mani in mano mentre questo Paese è governato da Salvini e Di Maio. E io dovrei stare fermo ad aspettare le tattiche, le cene?”. Richetti, dunque, lo fa per noi: per salvarci dai populisti, dai sovranisti e dalle Tenebre. Grazie Matteo. Questa rubrica ha già parlato di Richetti, non per sadismo ma perché il personaggi­o è uno dei pochi under 45 pidini dotati di talento. Il 7 aprile scorso, il senatore di Sassuolo ha varato l’enigmatica corrente “Harambee”, con l’intento di “smuovere il trauma del 4 marzo”. Un “trauma” a cui Richetti ha contribuit­o in prima persona, essendosi ridotto da fine 2016 – giusto a ridosso del referendum del 4 dicembre – a zelante portavoce ventriloqu­o di Renzi. Vederlo zimbellato dal Matteo (al tempo) più noto era avvilente: non tanto per noi, quanto per lui. Dopo essere stato renziano della prima ora, Richetti aveva rotto con Renzi per motivi più personali che politici. A quel punto, durante la fugace ma spietata età dell’oro renziana, era stato relegato ai margini: una sorta di via di mezzo tra renzismo e civatismo. A microfoni spenti, prima e dopo le puntate dei talk show, Richetti riservava critiche durissime a Renzi e renzismo. Roba che, in confronto, Di Battista è Gozi. Poi però, in diretta, menava puntualmen­te il can per l’aia. Da buon democristi­ano emiliano. Pareva attendere il perdono del Tondo di Rignano, che è infatti arrivato dopo una puntata di Otto e m ez z o nel settembre 2016, durante la quale Richetti perorò la causa del “sì” al referendum. Lo ricordo bene perché a quella puntata c’ero anch’io. Richetti non disse nulla di clamoroso, ma il solo fatto di apparire più convincent­e di Genny Migliore esaltò il Tragedia. Che, a quel punto, lo richiamò a sé.

DI COLPO RICHETTI cominciò mestamente a scodinzola­re, ripetendo i mantra renziani e subendo passivamen­te le sue angherie quando quell’altro lo sfotteva sui chili di troppo e i capelli che cadevano. Scene terribili: quello straziante periodo vissuto da scendilett­o renzico resterà una colpa imperdonab­ile. Richetti è però uomo intelligen­te, oltre che ambizioso, gradevole e scaltro. E dunque si è candidato. A Otto e mezzo, incalzato da Damilano, è arrivato a dire che è impossibil­e che lui perda: di sicuro l’autostima non gli manca. Durante la puntata di giovedì scorso, Richetti non ha voluto infierire sul servizio fotografic­o della Boschi (che lui ben conosce). Ha detto che il suo Pd vuol tenere insieme Corbyn e Macron, che è un po’ come dire “Sono vegano, ma la chianina mi fa impazzire di brutto”. E si è guardato bene dallo sciogliere il dilemma di fondo: la sua candidatur­a è o non è renziana? Su questo Richetti sta nel vago, speranzoso di calamitare quei renziani in fuga dal Bomba e al tempo stesso ostili a Zingaretti. Richetti fa bene a porsi come obiettivo un Pd “diverso”, ma tale discontinu­ità non può prescinder­e dal riconoscer­e come Renzi sia stato l’Armageddon di sinistra e partito. Invece lui sta nel mezzo, convinto che paraculism­o e supercazzo­le gli garantisca­no l’ambito scranno. Sarà forse per questo che, dopo aver sentito con attenzione i quaranta minuti di semi-monologo richettian­o su La7, mi sentivo carico come una blatta, reduce magari da un simposio su Hegel moderato da Raimo. Non solo: di quei 40 minuti, a ben pensarci, non ci avevo capito nulla. Forse anche meno.

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