Proiettile a Claudio Fava dopo la legge anti-massoni
La minaccia al presidente dell’Antimafia siciliana che ha fatto passare le regole sull’iscrizione alle logge e indaga su reti occulte e depistaggi
Il metodo è antico ma non è mai stato abbandonato da Cosa Nostra e da chi, in questi anni, se n’è servito: il “c’è posta per te” con proiettile in busta. In questo caso, calibro 7,65, indirizzato al presidente dell’Antimafia siciliana Claudio Fava, già vicepresidente di quella nazionale, giornalista professionista, figlio di Pippo Fava, ucciso da killer mafiosi nel gennaio del 1984, qualche settimana dopo avere denunciato le collusioni mafiose ai più alti livelli, finanziari e istituzionali, nel programma di Enzo Biagi.
A TROVARE il bossolo nella busta vuota, senza alcuno scritto, sono stati i collaboratori di Fava nella posta del mattino giunta ieri al primo piano di palazzo dei Normanni, negli uffici della commissione dove sono piombati dopo pochi muniti gli agenti della Digos sequestrando proiettile e busta per le prime analisi. “In questo momento non ho commenti da fare. Posso solo dire che si va avanti nonostante le intimidazioni” ha detto Claudio Fava, che ha ricevuto manifestazioni di solidarietà diffuse, dal Pd al M5S e al presidente della Regione Nello Musumeci: “Episodi di intimidazione grave come questo vanno condannati – ha detto Musumeci – senza tentennamenti”.
Protagonista in queste settimane di un’azione politica di contrasto ai sistemi criminali mafiosi su vari fronti, Fava da due mesi è impegnato a fare luce in commissione sulle mistificazioni in nome di un’anti- mafia fasulla e i legami, anche istituzionali, della lobby imprenditoriale guidata d al l ’ ex vicepresidente di Confindustria Antonello Montante, finito in carcere con l’accusa di avere messo in piedi una rete di dossieraggio con la complicità, finora presunta, di vertici dei servizi segreti, di polizia, carabinieri e guardia di finanza e anche dell’ex presidente del Senato Renato Schifani. Ma Fava è impegnato anche a chiarire, con l’apertura di un’altra istruttoria, le deviazioni e misteri, ancora irrisolti a distanza di 26 anni, del depistaggio istituzionale delle indagini sulla strage di via D’Amelio. E proprio qualche giorno fa aveva preannunciato il deposito, ormai prossimo, delle relazioni conclusive che puntano a togliere livelli di opacità alle due vicende, stesso obbiettivo del disegno di legge, presentato dallo stesso Fava, e approvato dall’Assemblea regionale il 4 ottobre scorso, che impone ai deputati a dichiarare la loro appartenenza alla massoneria. Risultato “ancora più importante – aveva detto Fava – avendo in Sicilia una tradizione spesso molesta tra massonerie, logge, politica, funzione pubblica, amministrazione”.
E INFINE, la scorsa settimana Fava è intervenuto sul sequestro di 150 milioni di euro all’editore catanese Mario Ciancio, considerato uno dei potenti “intoccabili” di Sicilia, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, proponendo di restituire il giornale sequestrato, La Sicilia, ai giornalisti che hanno raccontato davvero collusioni e protezioni del sistema mafioso: “Dopo l’arresto di Mussolini molti giornali che fino al giorno prima erano megafono del regime, vennero offerti a direttori che li trasformarono in quotidiani simbolo d e ll ’ antifascismo – a ve v a detto –. Così può essere anche con La Sicilia”.
Palazzo dei Normanni Il bossolo trovato dai collaboratori del deputato. Lui: “Si va avanti”. Digos al lavoro