Il Fatto Quotidiano

Popolare di Bari, l’ultima crisi dei poteri marci

Dopo anni di denunce, le autorità di vigilanza ora contestano irregolari­tà nella vendita di azioni e operazioni “baciate”. Ma ormai per i 70.000 soci il salasso è già arrivato

- BORZI

Se non fosse una tragedia, la crisi delle banche popolari non quotate italiane sarebbe una pochade. Dopo la tournée in Veneto, l’ennesima replica sta andando in scena in Puglia, ancora una volta tutta giocata sullo strabismo delle autorità di vigilanza. Negli anni scorsi Banca d’Italia e Consob hanno sorvolato sulla Banca Popolare di Bari, autorizzan­dola anzi ad acquisire istituti di credito in difficoltà. Ora che però la situazione della banca governata dalla famiglia Jacobini si fa difficile, alle prese con la trasformaz­ione in società per azioni (l’assemblea è fissata per il 16 dicembre) e con un nuovo aumento di capitale, gli sceriffi del mercato si riscuotono dal torpore e impugnata la Colt riportano la legge in città.

DAI CONTI, BANCA Popolare di Bari non parrebbe in affanno: il bilancio del gruppo nel 2017 ha segnato un utile di 1,05 milioni (erano 5,25 nel 2016) dopo rettifiche di avviamenti per 18,5 milioni. Gli indici patrimonia­li sono migliorati — il Cet1 dal 9,2 al 10,2 per cento e il Tier1 dal 12 al 12,7 per cento, sopra i requisiti regolament­ari — Ma non è tutto oro quello che luccica.

Lo sanno bene i quasi 70mila soci della Popolare, che a fine 2017 contava 353 filiali in 13 regioni e 3.062 dipendenti. A questi risparmiat­ori negli anni la banca ha piazzato 160,36 milioni di azioni non quotate e illiquide. Titoli che valevano sino a 9,53 euro ma che oggi sono scambiati sul circuito telematico Hi-Mtf a 2,38 euro, con un tracollo del 75 per cento. Prima dell’obbligo di trattazion­e sul circuito telematico, deciso il 18 ottobre 2016 dalla Consob con la comunicazi­one 92492 a tutte le banche non quotate, le azioni erano valutate come quelle delle altre Popolari non quotate, attraverso procedure di esperti indipenden­ti richieste dal consiglio di amministra­zione e poi approvate dai soci in assemblea a multipli elevatissi­mi. Un modo, utilizzato anche a Vicenza, per chiedere all’oste se il vino era buono. Se si considera che incombe un aumento di capitale stimato dai 250 ai 350 milioni (ma potrebbero essere di più), non è difficile immaginare il futuro dell’azione.

E sì che nel tempo la Bari era come il Mr. Wolf di Pulp Fiction: “risolveva i problemi” alla Vigilanza. Banca d’Italia nel 2009 autorizzò la Popolare ad acquistare Cassa di Orvieto e nel 2014 diede via libera all’ acquisizio­ne della Casse di Teramo (Tercas) e di Pescara (Caripe), in grosse difficoltà. L’acquisizio­ne di Tercas e di Caripe fu finanziata dalla Bari con un aumento di capitale da 500 milioni, vidimato da via Nazionale e da Consob, piazzato metà in azioni (a 8,95 euro l’una) e metà in obbligazio­ni subordinat­e.

EPPURE IL CARICOda novanta ora lo mettono proprio le autorità di controllo. Dopo anni di denunce di azionisti inferociti per l’impossibil­ità di vendere le proprie azioni e segnalazio­ni dei media, la Consob si è svegliata e con le delibere 20583 e 20584 nei giorni scorsi ha sanzionato i vertici della Popolare, a partire dall’ad Marco Jacobini (consiglier­e da quarant’anni), e la banca stessa per 2,6 milioni. La motivazion­e? Violazioni di legge sugli aumenti di capitale del 2014 e 2015 nella vendita delle azioni ai clienti. La banca non a- vrebbe comunicato nei prospetti informativ­i le modalità di determinaz­ione del prezzo dell’azione, omettendo consulenze che lo fissavano più in basso, e avrebbe forzato i profili di rischio dei clienti per potergli piazzare azioni, bond subordinat­i e finanziame­nti “baciati”. Esemplare il caso della società di costruzion­i Debar, cui fu concesso di vendere azioni per 4,1 milioni per rientrare di 5,15 milioni di finanziame­nto concesso dalla stessa Popolare. Secondo la Consob, a fine 2016 29mila clienti della Bari (il 36,5 per cento del totale) “presentava un portafogli­o inadeguato”.

Chi si è accorto delle irregolari­tà? Proprio Banca d’Italia, che nel 2016 ha disposto una verifica. Il tutto ha portato a scoprire che sino a metà 2017 la gestione degli scambi delle azioni della Popolare di Bari, realizzata dall’area finanza della banca, presentava carenze ed errori che non consentiva­no di rispettare gli ordini dei clienti, come d’altronde già segnalato da oltre 200 esposti. Tant’è vero che la banca ha dovuto rimborsare cinque azionisti e che l’Arbitro bancario fi- nanziario ha disposto rimborsi per i danni, stabilendo che la banca ha violato le “regole di condotta” perché gli acquirenti non erano in grado di percepire la rischiosit­à dei titoli. Intanto sulla banca indaga anche la Procura del capoluogo pugliese.

MA I GUAI NON SONO FINITI. Secondo Giuseppe D’O rt a , consulente finanziari­o indipenden­te e responsabi­le della tutela del risparmio di Aduc, “al prezzo attuale di 2,38 euro la Popolare di Bari capitalizz­a circa 380 milioni: erano un miliardo e 200 milioni al prezzo di 7,5 euro. Applicando i multipli di bilancio di altri istituti comparabil­i con la banca, il prezzo può ancora almeno dimezzarsi, e la capitalizz­azione complessiv­a scenderebb­e a 190 milioni. In caso di aumento di capitale da 250-350 milioni, alla Popolare occorrereb­be nuovo capitale per un valore superiore alla propria capitalizz­azione. Chi sborserebb­e 250-350 milioni? Difficile pensare ai piccoli azionisti, visto il crollo delle azioni da loro possedute”. Anche a Mr. Wolf così ora serve un Mr. Wolf.

Conto alla rovescia L’assemblea dei soci è fissata per il 16 dicembre: deve decidere la trasformaz­ione in spa e un nuovo aumento di capitale

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