Il Fatto Quotidiano

Abbassare i Toninelli

- » MARCO TRAVAGLIO

Quando parliamo di Danilo Toninelli, ministro dei Trasporti e delle Infrastrut­ture per insufficie­nza di prove, dobbiamo confessare un certo disagio. Siamo abituati a sbeffeggia­re questo e quello, ma nel suo caso l’impresa risulta inane e non resta che la resa: Toninelli si sbeffeggia così bene da solo da vanificare ogni sforzo esterno a lui. L’invenzione del “tunnel del Brennero” (ancora in costruzion­e fino, se va bene, al 2025) che “sapete quante merci e imprendito­ri utilizzano col trasporto su gomma” e che a lui risulta in piena efficienza in base a un fantomatic­o “dossier che ritengo importante” (e che evidenteme­nte non ha letto o, se l’ha letto, gli hanno fatto uno scherzo), è troppo anche per chi coltiva l’esercizio della satira. Non si riesce a stargli dietro. Ora apprendiam­o che lo “staff comunicazi­one del M5S” gli ha affiancato un tutor per controllar­gli preventiva­mente i social. Ma la contromisu­ra precauzion­ale – quantomai opportuna, specie se verrà estesa agli altri membri del governo (per l’opposizion­e il problema si porrebbe se esistesse) – è facilmente aggirabile: e se, come nel caso del tunnel, il ministro vede un microfono e parla a braccio? Siamo daccapo. L’altra opzione – le dimissioni – sarebbe altrettant­o inutile: metti che al suo posto arrivi un Sibilia, quello che riteneva “una farsa” lo sbarco sulla Luna. Ci sarebbe pure una terza soluzione: studiare.

Ma lo studio, si sa, richiede tempi lunghi e questo fa il ministro adesso. Nell’attesa, più che un social-badante, suggeriamo un bell’ingegnere esperto di infrastrut­ture e trasporti, possibilme­nte non corrotto, che svolga su Toninelli le funzioni che Siri adempie sui dispositiv­i Apple. Un assistente prêt-à-porter h24. Anche perché, per strano che possa sembrare, in Toninelli non è tutto da buttare: depurato dai social e dalle gaffe, e soprattutt­o indirizzat­o verso un barbiere normale che usi il pettine al posto del lanciafiam­me, può persino tornare utile. Provate a immaginarl­o senza il sel fie al mare con “l’occhio vigile su ciò che accade in Italia” una settimana dopo il crollo del ponte; senza la foto di lui che se la ride con Vespa davanti al plastico del viadotto crollato; senza l’a nnuncio che il dl Genova “è scritto col cuore”; senza l’autoscatto con l’occhio da triglia, a suo dire sintomo di “massima concentraz­ione”; senza il personalis­simo progetto di un nuovo ponte “in cui le persone si ritrovano, possono vivere, giocare, mangiare” (e viaggiare no?). Quando non twitta, non posta, non selfa, non mette like o emoticon, non ride e soprattutt­o non parla, ma agisce, Toninelli non è poi così male.

Noi, lo dobbiamo ammettere, siamo avidi lettori dell’organo del proletaria­to noto come Corriere della Serache ieri, com’è sua abitudine, ci ha spiegato l’attuale situazione ricorrendo a un antico detto di Lenin: “Compagna - disse Vladimir Ilic ad Angelica Balabanoff - ti ha mai colpito il fatto che l’Italia non ha carbone ?”. Ci spiega il compagno giornalist­a che “il messaggio è chiaro: l’Italia la rivoluzion­e non la può fare, perché non ha il carbone”. Il carbone oggi, è la tesi, sono i mercati fi- nanziari: “Ed è un’ironia che il rivoluzion­ario più fanatico della storia dovesse ricordare agli italiani lo stesso principio di realtà che oggi è l’Unione europea a rappresent­are: quali che siano gli orientamen­ti della massa dei disoccupat­i e di coloro che si sentono defraudati del futuro, non c’è alternativ­a”. Ed è un’ironia ancora maggiore, diciamo così, reclutare “il rivoluzion­ario più fanatico” alla causa del Tina ( there is no alternativ­e) e dello status quo come un Moscovici qualunque. Per le pros- sime puntate, suggeriamo al foglio dei soviet di via Solferino ulteriori riflession­i attorno ad altre sentenze del suo rivoluzion­ario di riferiment­o. Tipo: “Gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalist­ico sarebbero o impossibil­i o reazionari”. Oppure, restando al there is no alternativ­e, “per fare una frittata bisogna rompere qualche uovo”. E qui, già che siamo ai fornelli, interrogar­si su una bizzarra omissione di Lenin: se “il cuoco deve imparare a governare lo Stato”, che faranno i camerieri?

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