“Il Burri venduto a NY dalla Crespi è un bene” “No, parli da mercante”
La querelle dopo che la presidente onoraria del Fai ha deciso di far battere l’opera all’asta a New York
L’articolo di Tomaso Montanari apparso sul Fatto Quotidiano circa le vendita in atto del quadro di Burri che Giulia Maria Crespi teneva appeso nell’androne di casa è eticamente repellente e moralmente ridicolo: eticamente perché il giornalista si è fatto fornire da un funzionario del Ministero gli atti relativi ad una esportazione privata legittima in barba ad ogni criterio di privacy (ci si augura che il Ministro provveda), moralmente perché usa parametri di “nazionalità” che non avrebbe digerito neppure il mascellone di Predappio.
DI GIULIA MARIA CRESPI tutto si può dire se non che non sia sempre stata persona che agli interessi dei beni culturali italiani abbia dedicato la vita e spesso il proprio danaro, sia nelle battaglie personali che nell’avere promosso, finanziato e sostenuto il Fondo Ambiente Italiano. Che abbia poi deciso di vendere, forse per finanziare ulteriormente il suo impegno, un’opera d’arte contemporanea da lei acquistata a poco e oggi di valore alto, non solo è il suo diritto ma pure forse la gioiosa verifica del proprio intuito nell’avere individuato in Alberto Burri un talento emergente quando il resto della borghesia italiana era ottuso e acquistava opere altrettanto opache. Sarebbe bello ci fosse ancora oggi nella classe abbiente emergente italiana la medesima capacità di intuire le arti che saliranno alla gloria del palcoscenico mondiale!
Vendere oggi a milioni di euro, di sterline o di dollari le opere della nostra contemporaneità non depriva il patrimonio nazionale, visto che di Burri c’è un intero museo a Città di Castello, ma contribuisce invece a ristabilire un onore nazionale che viene quotidianamente avvilito dalla stupidità che regna sovrana, purtroppo anche sulla carta stampata.
LA CONOSCENZAè sempre più importante del patrimonio. Se gli inglesi del Grand Tour non avessero acquistato le vedute di Canaletto e di Bellotto come souvenir della loro iniziazione europea, mai questi autori avrebbero assunto l’importanza che hanno oggi; pittori altrettanto significativi come Magnasco non hanno avuto medesima fortuna perché rimasti quasi esclusivamente sulla penisola. Se Leonardo non avesse portato con sé la tavoletta della Monna Lisa, il quadro non sarebbe finito a Fontainebleau, Napoleone non lo avrebbe riscoperto lì trecento anni dopo e non sarebbe stato affidato al barone Vivant Denon che allora stava inventando il museo del Louvre; Marcel Duchamp non avrebbe mai rieditato la sua foto con i baffi e la scritta ironica “L. H. H. H. Q.” ( elle a chaud au cul). Se l’ultimo erede italiano degli affari commerciali di Herwarth Walden non avesse venduto, dopo avere tentato di venderlo in Italia, per un milione di lire del 1959 La città che saledi Umberto Boccioni al MoMAdi New York il fu- turismo rozzamente tacciato di collusione con il fascismo a casa nostra non sarebbe ancora oggi riconosciuto come uno dei principali movimenti delle avanguardie moderne: d’altronde era lo stesso Marinetti a spingere la loro disseminazione in tutto il continente. Morandi è noto fuori Bologna perché sin dagli esordi ne acquistò un centinaio l’oscuro signor Morat, il tedesco che fondò il Morat-Institut für Kunst und Kunstwissenschaft di Freiburg im Breisgau. Lucio Fontana e Piero Manzoni sono oggi considerati protagonisti indiscussi dopo che hanno superato il milione alle battute d’asta, fuori Italia ovviamente, poiché a casa nostra, chi compisse un simile acquisto pubblico, verrebbe immediatamente indagato dall’A g en z i a delle entrate e quindi si astiene… Et semper ad maiorem Italiae gloriam. E quanto hanno contribuito Leonardo, Canaletto, Morandi, Fontana e Manzoni, assieme a Verdi e Toscanini a redimere l’immagine d’un Paese uscito perdente dalla guerra e a promuovere il made in Italy assieme alle sue migliaia di posti di lavoro!
La circolazione libera delle opere d’arte è pari a quella delle idee, dei libri e delle invenzioni che formano il tessuto di coesione delle società moderne e democratiche. La difesa del patrimonio nazionale dovrebbe pensare alla salvaguardia d’una storia sedimentata che vede oggi purtroppo crollare i palazzi e marcire gli affreschi, nella disattenzione d’un ministero che ha appena compiuto lo scempio goffo di Palazzo Citterio a Milano.
* Direttore di “Art e Dossier”