La strana ammissione del Tesoro: i nostri calcoli privilegiano l’austerità
Nella Nadef: “Le nostre stime non comprendono gli effetti di retroazione...”
Per i feticisti dei documenti di finanza pubblica è una novità non da poco e illumina da una nuova angolazione un segreto di Pulcinella: i modelli attorno a cui vengono elaborate le previsioni economiche sono, all’ingrosso, tarati per attenuare gli effetti delle politiche di austerità e, viceversa, minimizzare o negare quelli di manovre espansive.
LA POLEMICA attorno alla quantificazione “st atica” o “dinamica” delle misure dei governi e, parallelamente, quella sui cosiddetti “moltiplicatori” della spesa pubblica vive da decenni nell’accademia e sui giornali almeno dalla co- siddetta “crisi dei debiti sovrani”. Ora, però, sbarca nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef), nella quale si legge per ben due volte (pagina 5 e 41) la stessa frase: “Sebbene le stime di finanza pubblica non comprendano effetti di retroazione della maggiore crescita sul saldo di bilancio...”.
Cos’ è questa “retroazione ”? Sostanzialmente il ministero dell’Economia ci dice che, quando formula le sue previsioni sui saldi di finanza pubblica, non tiene conto degli effetti delle sue politiche sulle entrate e sulle spese: un fatto scontato - come ammettono tutti i tecnici sentiti dal Fatto anche allo stesso Tesoro e nelle autorità indipendenti - per qualunque studente. La cosa non è senza effetti, specialmente in tempi in cui i de- cimali assurgono a totem politici: ad esempio, come vedremo, il deficit pubblico italiano del prossimo triennio potrebbe essere fissato fin d’ora, calcolando la “retroazione” della manovra, più in basso della progressione dal 2,4% al 2,1 all’1,8 scritta nella Nadef.
COM’È POSSIBILEquesto? Non è così complesso come può sembrare: se si prevede maggiore crescita (come ad esempio fa il governo in questa Nadef) è ovvio che quella crescita avrà come effetto un aumento delle entrate e una diminuzione di spese (ad esempio per Cassa integrazione o i sussidi alle imprese in crisi). A voler considerare solo l’effetto sulle entrate - e citiamo una simulazione che verrà a breve pubblicata sulla rivista Etica ed economia - nel caso dei conti pubblici italiani l’effetto è quello che segue: rispetto al Def di Gentiloni, quello “gialloverde” prevede un Pil nominale (cioè che tiene conto anche dell’aumento dei prezzi e su cui si calcola il rapporto con deficit e debito) più alto di 0,4 punti il prossimo anno, dell’1,1% nel 2020 e dell’1,6% nel 2021. Ora, ipotizzando che ogni euro di Pil in più produca entrate fiscali aggiuntive di soli 20 centesimi (in sostanza so-
In soldoni
È come se la crescita non producesse maggiori entrate: il deficit 2019 sarebbe al 2,2%
lo l’Iva), il disavanzo dello Stato calerebbe di 12 miliardi nel triennio e si attesterebbe al 2,3% l’anno prossimo, all’1,9% nel 2020 e all’1,5% tra tre anni (anche il rapporto debito/Pil, ovviamente, scenderebbe più rapidamente). Se invece si tiene conto che la pressione fiscale complessiva si aggira sul 50%, l’extra-gettito andrebbe da 2 decimi di Pil nel 2019 fino agli 8 del 2021 (circa 30 miliardi): il rapporto col Prodotto passerebbe dunque al 2,2% 2019 fino all’1% del 2021. Un percorso assai “più digeribile” per Bruxelles e, peraltro, tecnicamente ineccepibile.
Solo che la “retroazione” non si usa: la giustificazione più usata è che in questo modo il bilancio è più prudente, il che può essere vero in caso di manovra espansiva (come quella di Tria). Quando si taglia, invece, non tener conto della “retroazione” delle manovre impedisce di coglierne la portata recessiva: rispetto alle previsioni del Def dell’epoca, ad esempio, la recessione post-manovra “Salva-Italia” di Monti fu sei volte più forte.
E DIRE che gli “effetti di retroazione” non debuttano oggi in un documento governativo: li usò Pier Carlo Padoan - innovazione “salutata positivamente” dall’Ufficio parlamentare di bilancio - nella manovra approvata nel dicembre 2016. All’epoca il ministro di Renzi mise così a bilancio sotto quella voce maggiori entrate “pari a 0,35 miliardi nel 2017, 1,05 nel 2018 e 2,2 nel 2019”.