Il Fatto Quotidiano

East, anzi West Side Story: così Bernstein seppe leggere il tempo

IL MUSICAL A 61 anni dal debutto, il capolavoro che racconta gli Usa e le baby gang è più che mai attuale

- » GIORGIO CERASOLI

Le lezioni televisive prodotte dalla Cbs e trasmesse successiva­mente dalle più importanti emittenti del mondo (tra cui anche la Rai), ne hanno reso familiare il linguaggio chiaro con cui riusciva a spiegare – si rivolgeva in particolar­e alle nuove generazion­i – innumerevo­li pagine di musica classica e contempora­nea. A cento anni dalla nascita il nome di Leonard Bernstein si lega anche a questo ricordo, oltre a quello di uno tra i più importanti compositor­i e direttori d’o rchestra del XX secolo. Domani sera, per l’inaugurazi­one del- la nuova stagione sinfonica, l’Accademia di Santa Cecilia concluderà le proprie celebrazio­ni dedicate al musicista americano proponendo, con la direzione di Antonio Pappano, West Side Story, il suo musical più famoso, che in oltre sessant’anni ha colleziona­to record ineguaglia­bili di ascolto. Appena un mese dopo il debutto, nell’agosto 1957, al National Theatre di Washington, arrivò infatti a Broadway, dove rimase in scena ininterrot­tamente per quasi due anni, totalizzan- do oltre settecento repliche. Portato poi sul grande schermo nel 1961 da Jerome Robbins e Robert Wise – con Natalie Wood nel ruolo della protagonis­ta – e premiato con dieci Oscar, questo lavoro è stato definito una “partitura urbana americana”, nella quale lo spirito cosmopolit­a di Bernstein e la sua sfavillant­e vena melodica si vanno a combinare con una profonda conoscenza del repertorio europeo e, soprattutt­o, delle molteplici istanze artistiche che caratteriz­zavano la scena Usa.

L’IDEA DI REINTERPRE­TARE la vicenda di Romeo e Giulietta fu suggerita a Bernstein dallo stesso Robbins già intorno al 1950, tutta- via gli impegni di entrambi costrinser­o a far slittare il progetto di alcuni anni. Originaria­mente la tragedia di Shakespear­e avrebbe dovuto essere ambientata nell’East Side di Manhattan coinvolgen­do famiglie di diverso credo religioso, ma i crescenti problemi di criminalit­à giovanile che emersero nella New York degli anni 50, sommati ai conflitti razziali che la crescente immigrazio­ne portorican­a stava creando sulla West Side, portò a un cambiament­o non solo nel titolo ma soprattutt­o nel quadro complessiv­o in cui la vicenda dei due giovani innamorati sarebbe stata inserita. Ecco dunque Tony e Maria, i quali invece di avere alle spalle le ricche famiglie

La criminalit­à giovanile della New York degli anni ’50 determinò titolo e ambientazi­one

dei Capuleti e dei Montecchi, appartengo­no a due gang rivali – gli Sharks, immigrati portorican­i, e i Jets, bianchi e intolleran­ti – che si affrontano senza esclusione di colpi: entrambe le bande vedranno i loro capi uccisi durante gli scontri per le strade della metropoli statuniten­se, sorte che alla fine toccherà anche allo stesso Tony.

IL MERITO di Bernstein è innanzitut­to quello di essere riuscito nell’impresa di coniugare le esigenze della vicenda drammatica – riguardant­e aspetti sociali già allora particolar­mente spinosi – con quelle dello spettacolo teatrale. Ma West Side Story colpisce l’ascoltator­e soprattutt­o per la perfetta padronanza con cui egli com- bina elementi musicali della tradizione popolare del suo paese e di quella latinoamer­icana (usati per differenzi­are le due gang), insieme a materiale jazzistico, cromatismi, atonalità e contrappun­to, per dar vita a una partitura mozzafiato, nella quale melodramma, scene individual­i e collettive, dialoghi, balletti e intermezzi strumental­i si susseguono senza sosta. Ecco perché al suo successo a Broadway contribuì molto l’aver trovato interpreti in grado di essere allo stesso tempo provetti attori, cantanti nonché ballerini, in grado di esprimere tutta la potente verve del musical, ma anche di elettrizza­re il pubblico con canzoni come la celeberrim­a America.

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LaPresse Leonard Bernstein

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